Area 4
Nato a Pechino e di base a Hong Kong, Zheng Bo è un artista ecoqueer di etnia Bai. Attraverso il
video, il disegno, la performance, la scultura, la danza e il cinema, Zheng Bo esplora e coltiva
nuove forme di parentela con il mondo vegetale. Caratterizzate da una forte vocazione ecologica,
le sue opere mirano a interferire con il pensiero antropocentrico, decostruendolo attraverso
visioni ed esperienze che mettono al centro una coscienza multispecie e nuove forme di relazione
con il mondo vivente e non vivente.
Nel corso degli anni, l’artista si è dedicato allo
studio
delle piante, seguendo gli insegnamenti di esperti di biologia e botanica e creando rituali
artistici e quotidiani che si concentrano sulla cura interspecie.
L’opera Mountain
Massage,
originariamente ideata in occasione della sua recente mostra personale presso la Göteborgs
Konsthall, è concepita come una spa all’interno della quale il pubblico può vivere un’esperienza
di benessere a diretto contatto con una serie di materie naturali provenienti dai territori
montani del Trentino.
Sdraiato sul lettino, a occhi chiusi, il visitatore che accoglie
l’invito
alla pratica terapeutica è chiamato a indossare, toccare e interagire con elementi come pietre,
corteccia e muschio.
Nel proporre un tipo di pratica apparentemente poco diversa da quella
che si
vive passeggiando in montagna, Zheng Bo sottolinea l’esigenza di riscoprire una forma di vita
risonante, attenta e consapevole, nella quale lo stare-in-relazione è esperienza vibrante di
riattivazione e rigenerazione, al tempo stesso fonte e pratica per la cura da e verso il mondo.
Superfici naturali ed effetti antistress
Alcuni studi indicano che toccare il legno o le foglie di una pianta può stimolare
indirettamente il sistema nervoso parasimpatico e produrre un’azione vagotonica, con un
effetto anti-stress misurabile.
Nonostante la ricerca scientifica in questo ambito sia limitata, i lavori reperibili in
letteratura concordano nel rilevare diversi benefici in risposta agli stimoli tattili
che il legno può procurare, soprattutto in confronto con altri materiali artificiali1-2. Uno studio pioneristico sugli effetti della stimolazione
tattile sulla fisiologia
umana ha mostrato significative variazioni della pressione sanguigna e della frequenza
cardiaca in seguito al contatto con acciaio e altri materiali, variazioni viceversa non
rilevate con il legno3. Anche una ricerca successiva ha
confermato questo effetto
neutro del legno rispetto a materiali artificiali, anche riscaldando le superfici da
toccare: se il contatto con alluminio o plastica aumentava la pressione sanguigna, ma
tale aumento era inibito se i materiali venivano riscaldati, la pressione sanguigna non
cambiava in risposta al contatto con manufatti in legno, anche senza riscaldamento4.
Più recentemente, è stato dimostrato come toccare con il palmo delle mani e con la
pianta dei piedi il legno di certe specie arboree (per esempio, il cipresso giapponese)
induca effetti sull'attività cerebrale, rivelati attraverso la concentrazione di
ossiemoglobina nella corteccia prefrontale, e sull'attività nervosa autonoma, misurata
attraverso la variabilità della frequenza cardiaca, detta HRV, contrariamente a quanto
avviene toccando il marmo5.
Negli studi che indagano l’effetto della presenza di manufatti in legno in ambienti
controllati, gli stimoli prodotti dalla componente tattile e da quella olfattiva si
combinano, ed è quindi difficile isolare il contributo del singolo stimolo. La presenza
di legno accessibile al tatto, come pannelli in legno, arredi ecc., implica infatti in
generale una contestuale stimolazione olfattiva procurata dai composti organici volatili
rilasciati in aria dal legno stesso6.
Gli studi eseguiti in ambienti controllati possono facilmente essere traslati agli
ambienti forestali: il tocco del legno degli alberi con le mani, ed eventualmente la
possibilità di calpestare a piedi nudi il suolo, coperto di foglie e radici, possono
essere considerati funzionali rispetto ai benefici per la salute derivanti
dall’immersione in foresta.
— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini
Istituto per la BioEconomia, CNR – Sesto Fiorentino (FI) CAI Comitato Scientifico Centrale
La ricerca di Vera Portatadino è da sempre fortemente influenzata da un rapporto intimistico con
la natura. Le sue opere sono la trascrizione pittorica di esperienze corporee ed emozionali
vissute in occasione delle passeggiate all’interno di ambienti boschivi, prati e territori
montani, così come il frutto di un personale interesse per le scienze naturali e per
l’osservazione al microscopio della natura.
Nata e cresciuta in una casa circondata da
laghi,
boschi e scenari prealpini, ha maturato l’interesse per un’indagine della realtà in quanto
dimensione mutevole, nella quale umano e altro dall’umano sono in costante dialogo e
divenire.
Immersa nel febbricitante groviglio biologico dell’esistenza e aperta all’esplorazione attenta
di tutto ciò che le sta attorno, come insetti, piante, volatili e animali. Vera Portatadino
sviluppa intimamente e fisicamente quella che il sociologo tedesco Hartmut Rosa definirebbe come
“esperienza risonante”: una forma di relazione specifica nella quale soggetto e mondo, in questo
caso montagna, spinti a
comunicare attraverso la propria “voce”, si “toccano”, e stimolati a vibrare, si trasformano
reciprocamente.
I riferimenti figurativi che compaiono nelle sue tele fanno riferimento ora a elementi reali
(specie botaniche o animali dei luoghi vissuti), ora a presenze simboliche (varietà vegetali in
via di estinzione a causa del surriscaldamento globale che le permettono di sollevare tematiche
ecologiche), ora a riferimenti storici (alcuni dettagli rimandano alla Storia dell'Arte, in
particolare quella italiana). Tutti questi elementi, ricollocati nella complessità del presente,
sono la manifestazione estetica e concettuale di un bisogno di cura, intesa al tempo stesso come
necessità e possibilità pluridirezionale.
Vera Portatadino
Anima Alzati Apriti,
2019
Olio e acrilico su tela
Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Donazione Cavalleri
Deficit di natura
Più della metà della popolazione mondiale vive in aree urbane, dove l’esposizione alla
natura è in generale molto limitata, e spesso distribuita in modo diseguale a seconda
dello status socio-economico1, 2. Oltre alla separazione
fisica tra tessuto urbano e
mondo “naturale”, nei paesi ad alto reddito si passa l’80-90% del tempo al chiuso,
svolgendo attività sedentarie, e trascorrendo 6-8 ore o più ogni giorno davanti agli
schermi di cellulari e altri dispositivi digitali3.
In poco tempo siamo passati da un’esistenza prevalentemente all’aperto all’esposizione
continua ad uno spazio “costruito” e ad una vita vissuta principalmente in luoghi
chiusi.
Negli ultimi anni, diversi medici e scienziati hanno iniziato a parlare di “deficit di
natura” e a studiare in maniera più approfondita gli effetti negativi di questo deficit
e, di converso, gli effetti sulla salute umana associati all’esposizione alla
natura.
In generale, sempre più evidenze scientifiche mostrano una relazione tra la scarsa
esposizione alla natura e l’aumento della depressione, dell’ansia e anche di altre
malattie “contemporanee”, in particolare quelle non trasmissibili come sindromi
cardiovascolari, metaboliche, ecc.4, 5.
Un’ampia e crescente letteratura scientifica dimostra che l’esposizione alla natura è
viceversa associata a benefici misurabili e significativi per una vasta gamma di aspetti
psico-fisiologici6, 7.
Un altro ambito di studi riguarda in particolare gli effetti del deficit di natura sui
bambini e gli adolescenti. Emerge con sempre maggiore chiarezza quanto il contatto con
spazi verdi durante le fasi di crescita sia importante non solo sulla salute ma anche
sul funzionamento cognitivo, sul comportamento sociale, sulla capacità di sviluppare
emozioni positive ed empatia, oltre ad essere associato a un minor rischio di disturbi
psichiatrici in età adolescenziale e adulta8, 9.
— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini
Istituto per la BioEconomia, CNR – Sesto Fiorentino (FI) CAI Comitato Scientifico Centrale
Le opere di Ruben Brulat nascono quasi sempre da un’esperienza di viaggio e dal cammino che
l’artista intraprende per raggiungere alcuni dei luoghi più remoti al mondo. La natura è il
luogo nel quale mediante il quale Brulat porta avanti il suo personale bisogno di capire
dove e perché siamo.
Famose sono le immagini che ritraggono il suo corpo nudo mimetizzato
all’interno di luoghi montani, foreste, deserti, vulcani e ghiacciai. Ambienti incontaminati nei
quali la fusione tra essere umano ed elementi naturali si manifesta attraverso azioni dal
carattere performativo.
Il tentativo di unirsi alla terra, di sentirne la sostanza, di
diventare
un tutt’uno con la natura, evocano al tempo stesso sentimenti di forza e fragilità.
Nel video
Doigt, voir dans le vert des jungles, girato tra le foreste nel massiccio montuoso del
Ruwenzori, in Africa, l’inquadratura si concentra sul momento in cui il dito dell’artista entra
in contatto con la vegetazione.
Un gesto dal sapore alchemico, l’incontro tra un corpo umano
con
le forze primarie della natura.
Ruben Brulat
Doigt, voir dans le vert des jungles,
2018
Video HD, suono, 4’28’’
Courtesy l’artista e Ncontemporary, Milano-Londra-Venezia
Le foreste per la stabilità del clima
I servizi resi dagli alberi al nostro pianeta vanno dal sequestro del carbonio, alla
produzione di ossigeno, alla conservazione del suolo e alla regolazione del ciclo delle
acque. Gli alberi sostengono i sistemi alimentari naturali e umani e provvedono al
riparo per innumerevoli specie, uomini inclusi attraverso i materiali da
costruzione.
Se tutti gli ecosistemi forestali sono importanti, le foreste tropicali sono
fondamentali per l'equilibrio planetario e per la stessa sopravvivenza della specie
umana.
La deforestazione e il degrado forestale nelle grandi foreste tropicali, al di là della
perdita di un importante fattore di sequestro del carbonio atmosferico, hanno gravissimi
impatti ambientali, anche a causa dei loro effetti sulla regolazione del clima1
Dal 1990 la superficie delle foreste primarie - presenti ormai solo nelle zone tropicali
e boreali - è diminuita di oltre 80 milioni di ettari, e oltre un terzo della superficie
forestale è andata perduta rispetto ai tempi precedenti allo sviluppo delle civiltà
umane2. Se il primo e più evidente servizio offerto dalle
foreste globali è quello
del sequestro del carbonio, si ipotizza che le grandi foreste naturali giochino un ruolo
ancora più importante rispetto alla stabilità del clima, grazie al rilascio in
atmosfera di grandi quantità di vapore acqueo che, diminuendo la pressione dell’aria
nella bassa atmosfera, facilitano l’afflusso di aria umida dall’oceano. Tale meccanismo,
noto come “pompa biotica” e teorizzato per primi da due fisici russi, riesce a
trasferire il vapore acqueo fino a grandi distanze dagli oceani, garantendo dunque le
precipitazioni in aree molto interne3. In Sud America, il
bacino del Río de la Plata
dipende dall’evaporazione dalla foresta amazzonica per il 70% delle sue risorse idriche,
e la Cina occidentale, che ospita le più estese coltivazioni di cereali, dipende per
ben l’80% delle sue risorse idriche dall’umidità riciclata dalle foreste euro-asiatiche
(dalla Scandinavia alla Russia orientale)4.
Questa capacità di regolazione del clima è garantita soprattutto dalle grandi foreste
naturali o non gestite, non disturbate da azioni antropiche, la cui salvaguardia
dovrebbe essere una priorità assoluta nel contesto dei progressivi cambiamenti del
clima globale.
— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini
Istituto per la BioEconomia, CNR – Sesto Fiorentino (FI) CAI Comitato Scientifico Centrale