The Mountain Touch

Area 3

Christian FogarolliBio

Nella sua ricerca, caratterizzata da un approccio multidisciplinare, Christian Fogarolli attinge frequentemente da ricerche e saperi che provengono dal mondo della psicologia, della medicina, dell’archivistica, oltre che dell’arte. Da sempre interessato a esplorare le dinamiche mentali, sociali e culturali alla base del pensiero e dell’agire umano, Fogarolli ha realizzato l’opera PillPlant, nella quale umano e non umano sono presentati come parti del medesimo corpo.
Le sculture in vetro soffiato, che riproducono organi, arti e parti umane, accolgono al loro interno piante ed elementi naturali dalla comprovata efficacia terapeutica.
Recenti studi dimostrano infatti che il contatto con ambienti naturali come aree verdi, boschi e foreste si traduce in una minore incidenza di allergie, di disturbi autoimmuni e di alti livelli di stress e, di contro, un miglioramento delle funzioni cardiovascolari, degli indici emodinamici, neuroendocrini, metabolici e ossidativi, nonché dei processi mentali e del benessere psichico. In questi ambienti naturali e montani sono presenti erbe officinali o piante medicinali; prodotti naturali dotati di specifici principi attivi che possono essere di diverso genere: antinfiammatori, sedativi, tonificanti, depurativi.
Il loro impiego risale a tempi molto lontani. Se nell’antica Grecia rappresentavano l’unica soluzione possibile alla cura di disturbi e malattie e verso la fine del Settecento viene studiata l’importanza terapeutica di queste piante con la nascita della fitoterapia e dell’omeopatia, è verosimile che già il primitivo Ötzi, alle prese con dolori intestinali, fosse solito consumare felci come tentativo di automedicazione.

Christian Fogarolli

PillPlant, 2024
Sculture in vetro soffiato, piante medicinali di montagna, liquidi e materiali vari
Dimensioni varie
Piante ed estratti forniti grazie alla collaborazione con NIRIS LAB, Polo Meccatronica, Rovereto

Courtesy l’artista e Galleria Alberta Pane, Parigi-Venezia

Biodiversità montana

Le condizioni ambientali estreme tipiche dell'ambiente montano costituiscono una grande sfida per gli organismi viventi che vi abitano. L’interazione tra clima e montagne produce un’eterogeneità ambientale estremamente complessa che porta a un’elevata diversità delle specie che riescono ad adattarsi alle condizioni locali. La varietà ecologica degli habitat, anche su brevi distanze altimetriche, e l’isolamento geografico, rendono le montagne importanti centri di diversificazione e “hotspot” di biodiversità1.
Le montagne ospitano infatti circa un terzo della diversità delle specie terrestri e comprendono il 30% delle cosiddette aree chiave per la biodiversità – aree che contribuiscono in modo significativo alla persistenza globale della biodiversità, e regioni prioritarie per la conservazione.
Gli stress inducono le piante ad attrezzarsi per poter sopravvivere in condizioni estreme. Marcate escursioni termiche, minori disponibilità di ossigeno, forti venti, basse temperature, elevata radiazione solare, sono tutti fattori che comportano la produzione di radicali liberi e altre molecole molto dannose per le strutture cellulari. Per proteggersi dai radicali liberi, le piante montane producono elevate quantità di composti antiossidanti, in grado di ridurre i danni che provocano alle cellule e ai tessuti vegetali.
È anche per questo che le concentrazioni di composti antiossidanti presenti nella flora delle terre alte sono spesso più elevate rispetto alle concentrazioni disponibili in piante di collina o di pianura2. Soltanto piante dell’agricoltura arida e semi-desertica, dal melograno al mandorlo, fino al fico d’india, possono competere con le proprietà degli alberi di montagna: per esempio, il legno di castagno fornisce gli estratti più antiossidanti, seguite dalla buccia del frutto del melograno. Seguono a ruota, le cortecce di abete rosso e i ramoscelli di abete bianco.
Queste notevoli proprietà antiossidanti sono estremamente benefiche per la salute umana, e molte piante montane hanno infatti elevate proprietà medicinali, utilizzate da millenni da popolazioni anche lontane tra loro, come spiegato dalla ricercatrice Adrienne Mayor dell’Università di Stanford3. Oggi, la ricerca è attiva nella riscoperta di queste proprietà e nella loro più ampia accessibilità, grazie alle nuove tecnologie di estrazione e standardizzazione. Equilibrio del metabolismo, salute cardiovascolare, microcircolo, protezione dai radicali liberi, prevenzione oncologica, perfino la libido maschile e femminile: solo alcuni dei punti focali della salute umana alla cui salvaguardia e controllo i prodotti estratti dalle piante montane possono contribuire in misura importante.


— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini

Istituto per la BioEconomia, CNR – Sesto Fiorentino (FI) CAI Comitato Scientifico Centrale

  1. C. Körner, “Mountain biodiversity, its causes and function: an overview”. Mountain Biodiversity, 2019, pp. 3-20.
  2. A. M. Hashim, B. M. Alharbi, A. M. Abdulmajeed, A. Elkelish, W. N. Hozzein, H. M. Hassan, “Oxidative Stress Responses of Some Endemic Plants to High Altitudes by Intensifying Antioxidants and Secondary Metabolites Content”, Plants, 9, 2020. LINK→
  3. A. Mayor, “Animals self-medicate with plants − behavior people have observed and emulated for millennia”, The Conversation, 2024. LINK→

George SteinmannBio

The Soul of Remedies mira a sensibilizzare sulla dimensione estetica della nostra attuale crisi ecologica, sulla sottile bellezza della biodiversità e sul potere benefico celato al suo interno.
Le piante alpine, l'erba e i rimedi naturali sono indicatori, in positivo e in negativo, della relazione tra genere umano ed ecosistemi montani.
I materiali provenienti dalle Alpi svizzere, comprendono piante officinali come il mirtillo (Vaccinium myrtillus), l'ortica (Urtica dioica), la felce (Pteridophyta) e il lichene (Letharia vulpina), ma anche essenze di acqua minerale ottenute dall'artista direttamente da fonti della bassa valle dell'Engadina in Svizzera, bioindicatori come la cera d'api e il vischio. Tutti elementi naturali che fanno riferimento a una percezione olistica dell'ambiente montano.
Nella sua ricerca, George Steinmann è impegnato a studiare e a diffondere lo studio e la conoscenza della lunga tradizione di rimedi naturali e dei metodi di cura omeopatica nella cultura alpina.
Un tipo di pratica transdisciplinare che ha origine dalla consapevolezza che una maggiore conoscenza e sensibilità olistica possa espandere il senso di responsabilità nei confronti del nostro habitat e il sentimento di riconnessione con la Madre Terra. Ma anche l'invito rivolto alla scienza ad ampliare i propri orizzonti di ricerca, per giungere a evidenze su temi inesplorati.

George Steinmann

The Soul of Remedies, 2018
Installazione, tecnica mista

Courtesy l’artista

La montagna sentinella

L’Italia è un Paese di montagna che si crede di pianura. Da questa falsa percezione scaturiscono molti dei disastri naturali che ci affliggono, così come la trascuratezza di ambienti cui si deve letteralmente la vita.
Studi recenti, coordinati dal ricercatore del CNR Andrea Piotti, hanno dimostrato che la preservazione genetica di certe specie di piante montane tra Alpi, Appennini, Pirenei e Alpi Dinariche, è una delle misure chiave per tentare di superare l’incipiente collo di bottiglia dei cambiamenti climatici e della crisi ecologica1, 2. L’abete bianco occupa un ruolo speciale, perché grazie alla sua resilienza e capacità di propagazione nei rifugi glaciali dell’Europa meridionale, ha la capacità di garantire la sopravvivenza delle foreste montane anche a fronte dei più duri cambiamenti climatici. D’altra parte, una piantina come il mirtillo, coi suoi frutti piccoli e delicati, fornisce ingredienti insostituibili per ottime ricette di cucina ma anche per integratori alimentari di provata efficacia rispetto a importanti patologie come insufficienza venosa, problemi del microcircolo e sindromi che affliggono la vista, come la maculopatia degenerativa3.
Le stesse acque oligominerali, insostituibili risorse di minerali per il nostro organismo, scaturiscono quasi esclusivamente da sorgenti montane.
La montagna è sentinella, dalla vetta si vede più lontano: non a caso, il CNR e il CAI da alcuni anni conducono un progetto i cui frutti saranno raccolti dalle future generazioni. Il progetto “Rifugi sentinella del clima e dell’ambiente”4, una rete di stazioni di monitoraggio di alta quota su Alpi e Appennini, finalizzata a cogliere in anticipo, come una concreta macchina del tempo, i segnali di cambiamento del clima, inclusi i ghiacciai alpini, e della composizione dell’atmosfera, e consentirci di adottare tempestivamente le misure atte a contrastarne o almeno mitigarne le conseguenze.
Non sorprenderà che, presso le stesse stazioni, è stato avviato il monitoraggio della qualità del cielo notturno: non da meno dell’inquinamento dell’aria, l’inquinamento luminoso – che dalle popolose pianure illumina anche il cielo delle montagne – rappresenta una pressione tanto indebita quanto pericolosa per la salute, sia delle piante, delle praterie e della fauna di alta quota, sia anche dell’essere umano5, 6.


— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini

Istituto per la BioEconomia, CNR – Sesto Fiorentino (FI) CAI Comitato Scientifico Centrale

  1. A. Piotti, C. Leonarduzzi, D. Postolache, F. Bagnoli, I. Spanu, L. Brousseau, C. Urbinati, S. Leonardi, G. G. Vendramin, “Unexpected scenarios from Mediterranean refugial areas: disentangling complex demographic dynamics along the Apennine distribution of silver fir”, Journal of Biogeography, 44, 2017, pp. 1547–1558. LINK→
  2. E. Vajana, M. Andrello, C. Avanzi, F. Bagnoli, G. G. Vendramin, A. Piotti, “Spatial conservation planning of forest genetic resources in a Mediterranean multi-refugial area”, Biological Conservation, 293, 110599, 2024. LINK→
  3. P. Jaglan, H.S. Buttar, O. A. Al-bawareed, S. Chibisov, “Potential health benefits of selected fruits: apples, blueberries, grapes, guavas, mangos, pomegranates, and tomatoes. In Functional Foods and Nutraceuticals in Metabolic and Non-Communicable Diseases”, Academic Press, 2022. LINK→
  4. LINK→
  5. L. Massetti, F. Meneguzzo, “Il cielo naturale notturno. Il Bollettino Del Comitato Scientifico Centrale, Aprile”, 2022, pp. 122–128. LINK→
  6. E. Mazzoleni, M. Vinceti, S. Costanzini, C. Garuti, G. Adani, G. Vinceti, G. Zamboni, M. Tondelli, C. Galli, S. Salemme, S. Teggi, A. Chiari, T. Filippini, “Outdoor artificial light at night and risk of early-onset dementia: A case-control study in the Modena population, Northern Italy”, Heliyon, 9(7), 2023. LINK→

Paola AnzichéBio

Nella sua pratica Paola Anziché realizza sculture morbide e tattili partendo da un processo di ricerca in cui indaga la possibilità dell’arte di stabilire relazioni con diversi ambiti culturali come l’antropologia, gli antichi rituali, la bioarchitettura e la scienza. La sua curiosità la porta a viaggiare e a entrare in contatto con diverse tradizioni che vengono poi reinterpretate. Il lavoro manuale, il gesto, l’attenzione ai materiali utilizzati, con una particolare preferenza per quelli naturali, rappresentano il fulcro della sua pratica, connotata da un carattere altresì performativo e partecipativo.
Mediante un processo lento, che prevede l’immersione di tessuti naturali colorati nella cera liquida, l’asciugatura e successivamente l’intreccio, Paola Anziché ha creato La terra suona, una scultura morbida che evoca la forma di un grande alveare.
Uno spazio accogliente, nel quale la giustapposizione dei colori in cromie delicate ricorda un prato fiorito in primavera, il cui profumo permea lo spettatore, agendo sul corpo e sulla mente.
Il visitatore è invitato ad adagiarsi sul tappeto di juta, la cui texture riprende le forme esagonali delle celle di un alveare, e a vivere un’esperienza multisensoriale e benefica.

Paola Anziché

La terra suona, 2022
Tessuto cerato e juta; tappeto alveare in tessuto di juta

Courtesy l’artista

Confessioni ecosistemiche, foreste e abitudini alimentari

Prima che dalle interconnessioni umane, dai trasporti e da internet, il nostro pianeta è fortemente interconnesso dai suoi ecosistemi terrestri più importanti: le grandi foreste naturali o non gestite, ormai patrimonio quasi esclusivo delle basse e delle alte latitudini, che provvedono al sequestro del carbonio e alla stabilità climatica. Un complesso studio su reti di ecosistemi forestali ha mostrato che, se la distanza che separa due grandi ecosistemi forestali cresce oltre un certo limite, per esempio a causa della deforestazione, almeno uno di questi ecosistemi può precipitare verso l’estinzione, amplificando la portata della deforestazione stessa1. Inoltre, soltanto le foreste non gestite sono in grado, attraverso la loro libera evoluzione, di ottimizzare la proporzione degli alberi vecchi e giovani, consentendo alla foresta stessa di prosperare e fornire tutti i propri servizi: la riforestazione con alberi giovani, al contrario, non consente il recupero della funzionalità di un importante meccanismo conosciuto come “pompa biotica”2, 3. Tale meccanismo, tuttora soggetto a ricerche e verifiche, consiste nel “riciclo” dell’umidità oceanica attraverso distanze anche di migliaia di chilometri, grazie a complessi effetti della traspirazione dell’umidità dalle foreste sulla circolazione atmosferica.
È stato anche dimostrato che una transizione della dieta umana dalle proteine animali a quelle vegetali consentirebbe enormi risparmi del consumo di suolo, di acqua e di emissioni di gas serra4, 5. Ottenere cibi di origine animale per mezzo dell’agricoltura intensiva, che è necessaria per produrre mangimi, richiede un consumo di suolo e di acqua da 2,4 a 33 volte superiore, e genera da 2,4 a 240 volte più emissioni di gas serra, rispetto a un sistema di produzione orientato al solo consumo di proteine vegetali. La ragione fondamentale è che soltanto il 15% delle proteine vegetali fornite dalle coltivazioni e destinate ai mangimi si trasformano in equivalenti proteine animali per il consumo umano. Circa l’85% delle proteine vegetali originarie vanno perdute a causa del normale metabolismo animale: soltanto una piccola parte delle proteine ingerite si trasformano in proteine animali, il resto essendo destinato alle altre funzioni dell’organismo. Consumare direttamente i vegetali coltivati, invece, consente di accedere al 100% delle relative proteine, oltre che ai preziosi composti bioattivi di cui sono ricchi e che rappresentano importanti contributi alla nostra salute. Modificare le abitudini alimentari a livello globale rappresenta quindi, se non la soluzione del problema climatico, almeno una condizione necessaria a liberare ampi territori da destinare all’espansione delle foreste naturali, oltre che ad abbattere le emissioni di gas a effetto serra e quindi contrastare i cambiamenti climatici.


— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini

Istituto per la BioEconomia, CNR – Sesto Fiorentino (FI) CAI Comitato Scientifico Centrale

  1. G. Cantin, N. Verdière, “Networks of forest ecosystems: Mathematical modeling of their biotic pump mechanism and resilience to certain patch deforestation”, Ecological Complexity, 43, 2020. LINK→
  2. A. M. Makarieva, A. V. Nefiodov, A. D. Nobre, M. Baudena, U. Bardi, D. Sheil, S. R. Saleska, R. D. Molina, A. Rammig, “The role of ecosystem transpiration in creating alternate moisture regimes by influencing atmospheric moisture convergence”, Global Change Biology, 29(9), 2023, pp. 2536-2556. LINK→
  3. E. Gies, “More than carbon sticks”. Nature Water, 1(10), 2023, pp. 820– 823. LINK→
  4. A. Di Paola, M. C. Rulli, M. Santini, “Human food vs. animal feed debate. A thorough analysis of environmental footprints”, Land Use Policy, 67, 2017, pp. 652–659. LINK→
  5. S. V. Ramesh, S. Praveen, “Conceptualizing Plant-Based Nutrition: Bioresources, Nutrients Repertoire and Bioavailability”, in S. V. Ramesh & S. Praveen (Eds.), Conceptualizing Plant-Based Nutrition: Bioresources, Nutrients Repertoire and Bioavailability, Springer Nature, 2022. LINK→

Fernando García-DoryBio

Fernando García-Dory è il fondatore di INLAND, collettivo creato nel 2009 in Spagna per ripensare in modo collaborativo le relazioni tra ruralità e cultura. Qui ha sviluppato apiari per proteggere le api e per fornire agli abitanti miele e prodotti salutari come propoli e pappa reale.
An apiary for the Inland Village fa parte di un progetto più ampio che prevede la creazione di un apiario e di una capanna come spazio di guarigione e di incontro tra conoscenze e specie. Un luogo all’interno del quale l’utilizzo dei poteri curativi e terapeutici dell’alveare – la presenza di vapori aromatici di cera, miele, polline e propoli, la micro-vibrazione e la frequenza sonora del ronzio delle api, la temperatura fisiologica stabile e la ionizzazione dell’aria – hanno un impatto benefico sull’essere umano.
L’installazione audio presenta un paesaggio sonoro in cui il suono prodotto dalle api, che ha proprietà benefiche grazie alle sue frequenze e che la scienzasta cercando di dimostrare, si intreccia a un coro di donne impegnate nella pratica tradizionale di “raccontare alle api” la morte di membri della propria famiglia, al fine di evitare ulteriori lutti.
L’opera, in dialogo con gli altri lavori presenti, celebra il potere delle api e la dimensione terapeutica che questa specie è in grado di generare a diversi livelli, sia nella sfera umana sia nei processi biologici del mondo naturale.

INLAND / Fernando García-Dory

An Apiary for the Inland Village, 2021
Installazione sonora

Courtesy INLAND – Campo Adentro
In collaborazione con Antooloops

La salvaguardia del paesaggio sonoro

Il senso umano dell’udito è uno dei principali mediatori degli effetti benefici prodotti dall’immersione forestale. Verosimilmente, si tratta di un’ulteriore conferma dell’ipotesi della "biofilia”1 secondo cui l’ambiente naturale, dove Homo sapiens ha vissuto per gran parte della propria storia evolutiva, comporta il minimo impegno dell’attenzione, lasciando così scorrere i pensieri e consentendo di tornare a se stessi. I suoni naturali sono in grado di alleviare lo stress, l’ansia e l’agitazione, incidendo sull’attività parasimpatica del sistema nervoso, così come dimostrato anche dal miglioramento di alcuni indicatori fisiologici come il livello di conduttanza cutanea, la frequenza e la variabilità della frequenza cardiaca2. Il suono del vento tra le foglie, il canto degli uccelli e soprattutto quello dell’acqua che scorre hanno dunque il potere di indurre rilassamento e benessere, soprattutto se non “sporcati” da rumori artificiali, siano essi quelli di una strada trafficata o di una motosega. Anche nel caso degli stimoli sonori, infatti, è molto importante la “coerenza ambientale”, ovvero l’assenza di fattori di disturbo, “fuori contesto” e, viceversa, della presenza di elementi attesi in un luogo forestale (per es., corsi d’acqua in aree montane; suoni forestali non contaminati; assetto forestale naturale o rinaturalizzato; ecc.).
L’importanza della componente sonora nel contribuire agli effetti di recupero legati alla frequentazione di ambienti naturali è stata riconosciuta solo in tempi recenti, anche perché molti studi si sono tradizionalmente focalizzati sulla componente visiva.
Recenti evidenze mostrano che, in situazioni di laboratorio in cui venivano isolati gli input sensoriali (visivi e uditivi), gli stimoli uditivi erano addirittura più efficaci rispetto all’esposizione ai soli stimoli visivi3.
Oltre ai suoni prodotti dagli alberi e dall’acqua corrente, l’ambiente sonoro della foresta consta dei suoni prodotti dalla fauna, in particolare volatile, tra cui le api. Taluni sostengono, in attesa però di prove scientifiche convincenti, che le particolari frequenze tra 400 e 500 Hz del ronzio delle api favoriscano uno speciale rilassamento psicofisico; certo è invece il forte beneficio prodotto dal complesso dei suoni del bosco, purché non contaminato da rumori artificiali4.
L’inquinamento acustico, al pari di quello luminoso, è ormai ubiquo e pervasivo. L’impatto sulla salute è spesso sottovalutato, o quantomeno considerato un inevitabile corredo delle nostre vite urbane, fastidioso ma ineludibile.In realtà l’esposizione prolungata al rumore, anche a soglie basse, è un problema di salute pubblica in senso stretto, che ha ripercussioni a lungo termine sia a livello di funzionalità uditiva sia su diverse funzioni mentali come attenzione e memoria, contribuendo a condizioni di stress e quindi aumentando i rischi cardiocircolatori.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), in Europa occidentale si perdono ogni anno oltre 1,6 milioni di anni di vita a causa del rumore dovuto al traffico. I disturbi del sonno, l’aumento dei livelli degli “ormoni dello stress” e dello stress ossidativo nel sistema vascolare e nel cervello, possono favorire la disfunzione vascolare, l’infiammazione e l’ipertensione, aumentando così il rischio di malattie cardiovascolari5.
Oltre alla salvaguardia dei paesaggi sonori naturali, sempre più rari, è auspicabile che l’attenzione alla componente sonora diventi parte integrante della progettazione del paesaggio “riparativo”, ad esempio nei parchi urbani, perché possano svolgere al meglio le loro funzioni di riduzione e antidoto allo stress.


— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini

Istituto per la BioEconomia, CNR – Sesto Fiorentino (FI) CAI Comitato Scientifico Centrale

  1. E. O. Wilson, Biophilia. Cambridge, MA: Harvard University Press, 1984.
  2. H. Jo, C. Song, H. Ikei, S. Enomoto, H. Kobayashi, Y. Miyazaki, “Physiological and Psychological Effects of Forest and Urban Sounds Using High-Resolution Sound Sources”, International Journal of Environmental. Research and Public Health 16, 2019. LINK→
  3. C. Song, H. Ikeib, H. Miyazaki, “Effects of forest-derived visual, auditory, and combined stimuli”, Urban Forestry & Urban Greening 64, 2021. LINK→
  4. P. Fiľo, O. Janoušek, “Differences in the Course of Physiological Functions and in Subjective Evaluations in Connection With Listening to the Sound of a Chainsaw and to the Sounds of a Forest”, Frontiers in Psychology, 13, 2022. LINK→
  5. T. Münzel, M. Sørensen, A. Daiber, “Transportation noise pollution and cardiovascular disease”, Nature Review Cardiology, 18, 2021, pp. 619–636. LINK→

Lucas FogliaBio

Lucas Foglia è cresciuto in una piccola fattoria a cinquanta chilometri a est di New York City. La sua famiglia, che ha sempre vissuto di ciò che coltivava, utilizzando il baratto come strumento di scambio, ha preservato una relazione privilegiata con la natura, al riparo dalle dinamiche di centri commerciali e contesti urbanizzati. La foresta che confinava con la loro fattoria è stata per l’artista un territorio selvaggio da esplorare, un luogo sconosciuto ai vicini, pendolari a Manhattan.
La relazione tra modernità e natura, tra l’essere umano e il suo habitat – sia esso naturale o antropizzato – sono il fulcro di tutta la ricerca del fotografo americano.
Human Nature è un racconto fotografico, di cui in mostra sono esposte otto immagini, che indaga il rapporto tra genere umano e natura, attraverso uno sguardo multifocale. A volte con ironia, altre volte con una certa malinconia, le immagini raccontano del tempo presente e di quello futuro, della necessità di trovare una connessione con la natura e con il lato selvatico che risiede in ciascuno di noi. Ogni storia è ambientata in un ecosistema diverso: città, foresta, montagna, fattoria, deserto, ghiacciaio, oceano e vulcano.
Human Nature racconta dunque di come oggi la natura sia cura e minaccia allo stesso tempo. Mentre passiamo più tempo che mai in casa a guardare gli schermi, i neuroscienziati dimostrano che il tempo all'aperto è vitale per la salute e la felicità dell'essere umano.
Se da un lato le fotografie esaminano il nostro bisogno di luoghi selvaggi, in quanto spazi terapeutici nel contesto dell'Antropocene, dall’altro ci ricordano infatti come a causa dell’impatto antropico, essi siano diventati estremamente temibili, rendendoci vulnerabili alle tempeste, alla siccità, alle ondate di calore e al gelo.

Lucas Foglia

Human Nature, 2006-2019
Fotografie

Courtesy l’artista e Micamera, Milano

Ambientazioni artificiali, salute mentale e soluzioni naturali

Nel 2019, 970 milioni di persone nel mondo, cioè il 13% della popolazione mondiale, vivevano con disturbi mentali1. In Europa, secondo gli ultimi dati relativi al 2016, i problemi di salute mentale interessavano una persona su sei, con un costo di 600 miliardi di euro, ossia oltre il 4 % del PIL. I disturbi mentali più comuni nei paesi dell’UE sono i disturbi d’ansia (5,4% della popolazione), seguiti dai disturbi depressivi (4,5%) e dai disturbi legati alla droga e all’alcol (2,4%)2. I disturbi alla salute mentale rappresentano un problema crescente nelle aree urbane e diversi studi suggeriscono che la vita urbana rappresenta un fattore di rischio che mina la salute e il benessere mentale3. I residenti urbani hanno maggiori probabilità di essere esposti a fattori di stress ambientale come il traffico, il rumore e l’inquinamento atmosferico, che a loro volta influenzano il sistema psicofisiologico. Allo stesso tempo, i cittadini sono meno esposti all’ambiente naturale, in primis per la disponibilità limitata di spazi verdi nelle città, e quindi ai suoi effetti benefici e riparatori.
Negli ultimi anni, gli effetti rilassanti e riparatori dell'ambiente naturale hanno gradualmente guadagnato attenzione, anche grazie allo sviluppo di strumenti di misurazione medica che hanno facilitato l'accumulo di prove scientifiche basate su parametri fisiologici.
Il riconoscimento del valore sanitario delle pratiche “nature-based”, offre in prospettiva una grande opportunità per integrare le cure mediche tradizionali con pratiche preventive e terapeutiche accessibili anche ai soggetti a basso reddito, che sono spesso più inclini al rischio di disturbi mentali.
Gli effetti, oltre che sulla salute individuale e pubblica, sono ampiamente positivi anche sul piano del risparmio dei costi sanitari: un ampio studio condotto nel 2019 ha dimostrato che il valore annuale globale della frequentazione delle aree naturali protette, quali i parchi nazionali, in termini di costi evitati per la salute mentale dei visitatori, ammonta a circa l’8% del PIL nei Paesi più industrializzati, ossia fino a mille volte il budget assegnato per la conservazione delle stesse aree naturali protette4. Questo valore è minore, ma sempre sopra il 4%, nei Paesi meno industrializzati, dove la tecnosfera non è ancora così invasiva, sebbene in espansione inesorabile5.


— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini

Istituto per la BioEconomia, CNR – Sesto Fiorentino (FI) CAI Comitato Scientifico Centrale

  1. T. L. Osborn, C. M. Wasanga, D. M. Ndetei, “Transforming mental health for all”. British Medical Journal, 2022. LINK→
  2. A. Ventriglio, J. Torales, J.M. Castaldelli-Maia, D. De Berardis, D. Bhugra, “Urbanization and Emerging Mental Health Issues”, CNS Spectrums 2021, 26, 2021, pp. 43–50. LINK→
  3. OECD/European Union (2022), "Health at a Glance: Europe 2022: State of Health in the EU Cycle”, OECD Publishing, Paris, LINK→
  4. Buckley R., et al. (2019). “Economic Value of Protected Areas via Visitor Mental Health”. Nature Communications, vol. 10, no. 1. LINK→
  5. R. Buckley, et al., “Economic Value of Protected Areas via Visitor Mental Health”.Nature Communications, 10 (1), 2019. LINK→

Zora KreuzerBio

La ricerca di Zora Kreuzer è incentrata sul colore ed esplora le potenzialità estetiche e concettuali che scaturiscono dalla sua fruizione. Attraverso lavori di carattere ambientale, nei quali pigmenti e cromie sono messe in dialogo con la luce, l’artista conduce lo spettatore all’interno di esperienze immersive e multisensoriali.
Le sue opere, formalmente minimali ma tecnicamente fondate su un principio dinamico, sono sviluppate a partire dal fenomeno della radiazione elettromagnetica, sfruttando una lunghezza d'onda compresa tra 380 e 760 nanometri, in altre parole la luce che il sistema visivo umano è in grado di percepire.
Effetti percettivi e fisiologici come lo sfarfallio dei colori (attraverso la giustapposizione di colori ad alto contrasto), la comparsa di post-immagini (dopo un'osservazione prolungata di un colore, il suo complementare diventa visibile quando si chiudono gli occhi), o la riduzione percepita dell'intensità del colore attraverso l'assuefazione dell'occhio, sono solo alcuni esempi di fenomeni che si verificano ripetutamente osservando le sue opere site-specific.
La mescolanza di valori come intensità, tonalità, sfumatura e temperatura – sapientemente codificati dall’artista – restituisce una dimensione visiva di carattere fluido, nella quale è percepibile la sensazione di osservare una sfumatura in costante divenire.
Nell’installazione Green Room, Zora Kreuzer è intervenuta sulle pareti dello spazio attraverso la stesura di una pittura di colore verde, la cui rifrazione viene accentuata attraverso l’uso della luce ultravioletta trasmessa da una lampada LED. L’opera, nata in relazione agli studi che i ricercatori del Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi dell’Università di Torino stanno conducendo sull’impatto del colore verde sull’essere umano, è concepita come una sorta di bagno cromatico.
Green Room ripropone artificialmente – accentuandola – l’esperienza di sollecitazione percettiva e sensoriale alla quale siamo sottoposti nel momento in cui osserviamo ed entriamo in contatto con il colore verde che è presente in un contesto naturale, come nel caso della montagna. L’opera sollecita una serie di interrogativi ai quali la scienza sta cercando di dare risposta: in che modo reagiscono i nostri sensi nel momento in cui entriamo in contatto con il verde? Come impatta questo colore, in tutti i suoi gradienti, sul nostro benessere psicofisico? Dopo quanto tempo è possibile rilevare un’alterazione dei parametri vitali in risposta alla sua esposizione? E per quanto tempo? Che tipo di scenari apre la conferma da parte della scienza di tale relazione positiva?

Zora Kreuzer

Green Room, 2024
Pittura a dispersione su parete, luce UV e lampada LED

Courtesy l’artista

Il nostro cervello intrepreta le differenti lunghezze d’onda della luce visibile come colori. Nella vita quotidiana, siamo abituati ad associare ai colori importanti informazioni sull’ambiente che ci circonda: per esempio, se vediamo una bacca rossa siamo portati a pensare che sia velenosa e pericolosa per la nostra salute. I colori guidano quindi la nostra attenzione e le nostre scelte, aiutandoci a sopravvivere. È un qualcosa di ancestrale, ma il nostro cervello fa ancora di tutto per rilevarli e distinguerli.
Ma i colori sono anche capaci di scatenare emozioni e condizionare il nostro umore e stato di benessere. In particolare, i colori “freddi” (come verde e blu) inducono un effetto rilassante, che comporta dei veri e propri cambiamenti fisiologici. Per esempio, sappiamo che immergersi nella natura dona un’immediata sensazione di benessere psicofisico. Fino a pochi anni fa questo concetto si basava su mere osservazioni empiriche, ma oggi vi sono prove scientifiche che dimostrano come l’esposizione ad ambienti naturali possa generare reali cambiamenti nel nostro corpo. Si modificano infatti la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca ed il funzionamento del sistema immunitario1. Ma ancora più evidenti sono gli effetti sulla salute mentale: stare immersi nel verde scatena sensazioni di felicità e benessere, mentre riduce ansia e depressione, modificando i livelli di neurotrasmettitori, ormoni e molecole responsabili dello stress2. Anche per questo, medici e chirurghi spesso si vestono di verde o blu, cercando così di mettere a loro agio i pazienti. Inoltre, indossare lenti che filtrano certi colori può modificare le onde elettroencefalografiche e ridurre l’ansia3. Tali reazioni fisiche sono anche tenute in considerazione dai pubblicitari nell’ambito del cosiddetto “neuromarketing”, una branca del marketing che studia gli aspetti cognitivi del consumatore per influenzarne preferenze e acquisti.
Inoltre, la fototerapia può avere effetti sui ritmi circadiani4 e sull’espressione di cellule GABAergiche o glutamatergiche e sulla percezione del dolore. Gli spazi verdi in città sono associati a emozioni positive, mindfulness e rilassamento.
Ma non è solo la vista e la contemplazione del verde a donarci un senso di rilassamento quando camminiamo in un bosco. È ormai acclarato5 che alcune piante possano rilasciare sostanze volatili chiamate terpenoidi e terpeni (tra cui pinene e limonene), in grado di indurre risposte benefiche su tutto il nostro corpo, alla base degli effetti del forest bathing. Alcune di queste sostanze, oltre ad esibire una forte attività antiossidante e anti-neuroinfiammatoria, sembrano essere anche neuroprotettive6.
Nel tentativo di sfruttare i benefici dell’immersione nel verde anche per quelle persone che non hanno accesso diretto alla natura, le tecnologie “immersive” multisensoriali virtuali potrebbero diventare sempre più rilevanti.


— Marina Boido e Alessandro Vercelli

Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi, Università degli Studi di Torino

  1. K. K. Yau, A. Y. Loke, “Effects of forest bathing on pre-hypertensive and hypertensive adults: a review of the literature”, Environ Health Prev Med, 2020. 10.1186/s12199- 020-00856-7.
  2. B. J.Park, C. S. Shin, W. S. Shin, C. Y. Chung, S. H. Lee, D. J. Kim, Y. H. Kim, C. E. Park, “Effects of Forest Therapy on Health Promotion among Middle-Aged Women: Focusing on Physiological Indicators”, Int J Environ Res Public Health, 2020. doi: 10.3390/ijerph17124348.
  3. K. Boere, O. E. Krigolson, The effects of multi-colour light filtering glasses on human brain wave activity, BMC Neurosci, 2024. doi: 10.1186/s12868-024-00865-0.
  4. X. Q. Wu, B. Tan, Y. Du, L. Yang, T. T. Hu, Y. L. Ding, X. Y. Qiu, A. Moutal, R. Khanna, J. Yu, Z. Chen, “Glutamatergic and GABAergic neurons in the vLGN mediate the nociceptive effects of green and red light on neuropathic pain”, Neurobiol Dis, 2023. doi: 10.1016/j.nbd.2023.106164.
  5. K. S. Cho, Y. R. Lim, K. Lee, J. Lee, J. H. Lee, I. S. Lee, “Terpenes from Forests and Human Health”, Toxicol Res, 2017. doi: 10.5487/TR.2017.33.2.097
  6. B. Xu, L. Bai, L. Chen, R. Tong, Y. Feng, J. Shi, “Terpenoid natural products exert neuroprotection via the PI3K/Akt pathway”, Front Pharmacol, 2022. doi: 10.3389/fphar.2022.1036506.