Ingresso
Affascinato da come il concetto di paesaggio si è evoluto nel corso del tempo, da come esso
influenza il nostro modo di vedere e di sentire un luogo, Peter Stridsberg riflette sulle
dinamiche fisiche e mentali che l’incontro tra dimensione umana e naturale è in grado di
attivare.
Nell'installazione pensata per The Mountain Touch, l’artista unisce la
sua pratica
artistica con le esplorazioni realizzate negli ultimi anni, dove l’essere umano, il paesaggio e
le montagne si incontrano.
Seduto sul divano, l’abitante temporaneo di
questa stanza può volgere lo sguardo verso il paesaggio montano ripreso nel video o quello
ritratto nella fotografia. In questo modo, viene evocato
volontariamente l’incontro fittizio tra dimensione urbana e contesto naturale.
L’opera chiama
direttamente in causa la condizione di isolamento forzato vissuta nel periodo pandemico, il
senso di impossibilità, e al tempo stesso il bisogno percepito di vivere a diretto contatto con
ambienti naturali e aperti, come luoghi montani o parchi cittadini.
Il lavoro fa in questo
senso
riferimento a due temi di grande attualità: la “sindrome da deficit di natura” e la
“solastalgia”, entrambe reazioni negative generate dall’annichilimento biologico e
dall’estinzione progressiva dell’esperienza umana con la natura.
Condizioni che rientrano
nel più
ampio universo di quelle che sono state indicate come “malattie mentali psicoterratiche”, ovvero
i disturbi emotivi – come ad esempio l’eco-ansia e la paura globale – derivati dal repentino
mutamento dello stato di salute della Terra e dei suoi ecosistemi.
Peter Stridsberg
I will show you how the mountains move under our feet when the clouds stretch
from the cloud cover's unfiltered light gaze, 2024
Fotografia su vetro stampato
Courtesy l’artista
I benefici della "natura mediata"
I primi studi scientifici sull’influenza della natura e del verde sulla salute si devono
al lavoro del professor Roger S. Ulrich, che negli anni ‘80 condusse diversi esperimenti
per rilevare gli effetti dell’esposizione a elementi naturali sul recupero dallo stress
e sui processi di guarigione.
In un suo studio pionieristico, Ulrich dimostrava che i pazienti che avevano un affaccio
sul giardino dalla loro stanza di degenza post-operatoria, avevano un decorso molto
migliore in termini di tempi di recupero, complicazioni e somministrazione di farmaci,
rispetto a quelli che non avevano una vista sul verde1.
Analoghi risultati furono ottenuti negli esperimenti condotti in carcere, laddove le
celle con una vista su verde e alberi erano generalmente associate a un minor numero di
chiamate all’assistenza sanitaria da parte dei detenuti2.
Numerose ricerche successive hanno confermato i risultati del professor Ulrich su
diverse tipologie di pazienti, attestando la capacità dell’esposizione all’ambiente
naturale, attraverso foto, video, murales, di migliorarne lo stato emotivo, di salute e
il recupero dalla malattia, aumentando anche la tolleranza al dolore3-5.
Le reazioni dei pazienti legate alla presenza di piante negli ambienti medici di
ricovero/esame diagnostico sono non meno impressionanti. Nei pazienti operati di
tiroidectomia ed appendicectomia, solo per fare un esempio, è stata rilevata una
maggiore tolleranza al dolore e, conseguentemente, un minor ricorso ad antidolorifici,
oltre che una minore ansia, in presenza di verde nella stanza di ricovero6, 7.
Analoghi risultati sono stati ottenuti anche in soggetti sani con dolore indotto
artificialmente 8.
Ulrich è stato inoltre il primo studioso a dimostrare che anche la sola visualizzazione
di immagini di foreste induce il miglioramento di alcuni parametri fisiologici
(pressione sanguigna, ampiezze delle onde cerebrali alfa, tensione muscolare)9.
Oggi, gli studi che dimostrano gli effetti riparatori e di riduzione dello stress legati
all’esposizione anche indiretta ad ambienti naturali, ossia mediata da vari tipi di
“natura sostitutiva” come foto, video e ambienti naturali virtuali, sono molteplici10-13. Sebbene, ovviamente, la “natura tecnologica” non
riesca a riprodurre
completamente gli effetti della natura reale, ed escluda molti importanti vantaggi
dell’immersione nei boschi, le tecnologie “immersive” virtuali potrebbero essere
importanti per il miglioramento del benessere delle persone che non hanno accesso
diretto alla natura, o per le quali il contatto diretto con la natura non è possibile o
pericoloso. Questo vale soprattutto per soggetti con disabilità fisiche o in situazioni
di allettamento e cura, ma anche per alcune forme di disturbi mentali, tra cui
depressione e ansia patologiche.
— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini
Istituto per la BioEconomia, CNR – Sesto Fiorentino (FI) CAI Comitato Scientifico Centrale
Che ansia il cambiamento climatico!
La crisi climatica, una delle sfide più grandi del nostro tempo, desta sempre maggiore
inquietudine e preoccupazione. In psicologia e nelle scienze sociali, queste reazioni
emotive sono state analizzate come espressione del fenomeno dell’eco-ansia. L’eco-ansia
è definita dall’American Psychological Association come una paura cronica per la
catastrofe ambientale, dovuta alla consapevolezza che le fondamenta ecologiche della
nostra esistenza sono al collasso. È una sensazione complessa, che nasce dalla
percezione di un futuro sempre meno sostenibile che crea incertezza. Paura,
preoccupazione, senso di colpa e angoscia sono solo alcune delle emozioni associate
all’eco-ansia. Nonostante questo tipo di ansia non sia identificata come una vera
patologia, molti studi empirici hanno dimostrato che può avere grosse ripercussioni
sulla salute mentale soprattutto tra i più giovani (18-35 anni), sulle donne e in quei
paesi del sud globale già esposti in maniera significativa alle catastrofi ambientali.
Anche nella nostra regione, dove sono già visibili gli effetti del cambiamento
climatico, si riscontra paura per eventi meteorologici estremi. Nel corso di una ricerca
condotta da Eurac Research insieme all’Istituto provinciale di statistica ASTAT sono
state analizzate le reazioni emotive della popolazione altoatesina rispetto al
cambiamento climatico. I risultati parlano chiaro: anche in Alto Adige le persone si
trovano a fare i conti con l’eco-ansia. Infatti, il 70% del campione ha dichiarato di
avere paura, l’80% di provare preoccupazione, il 39% sensi di colpa e il 67% una
sensazione di impotenza. La popolazione altoatesina è preoccupata, in particolare, per i
rischi correlati a siccità, scarsità d’acqua e alluvioni.
Come si può affrontare l’eco-ansia? In primo luogo, è necessario che i governi prendano
delle misure più ambiziose per contrastare la crisi climatica, anche coinvolgendo la
popolazione tramite processi partecipativi. In tal modo si potrebbe ridurre la diffusa
sensazione di impotenza legata all’inazione della politica. In secondo luogo, è
fondamentale che le persone sviluppino nuove competenze emotive per adattarsi a
convivere con l’eco-ansia, dal momento che non è destinata a sparire. Per questo è
importante implementare servizi di supporto psicologico che riconoscano gli effetti
dell’eco-ansia sulla salute mentale e che aiutino le persone a trasformare il sentimento
invalidante dell’eco-ansia in un atteggiamento attivo nella trasformazione sociale ed
ecologica.
— Ilaria De March, Felix Windegger, Christoph Kircher
Center for Advanced Studies, Eurac Research – Bolzano (BZ)