The Mountain Touch

Area 1

Michael FliriBio

Le fotografie della serie My Private Fog II presentano un’azione performativa realizzata da Michael Fliri. L’artista indossa una serie di maschere trasparenti, realizzate dal calco di pietre e minerali raccolti durante le sue camminate in alta montagna. I due corpi, inizialmente entità distinte, si fondono gradualmente come abitanti dello stesso spazio atmosferico.
La condensa generata dal respiro porta progressivamente il viso dell’artista a scomparire, trasforma le superfici in immagini che ricordano profili montani innevati, ghiacciai o materia rocciosa, sottolineando l’interazione biologica tra essere umano e natura.
Nel rendere visibile ciò che tendenzialmente il nostro occhio non vede, Michael Fliri apre uno spazio di riflessione sui concetti di interazione e di metamorfosi.
Le immagini – nel richiamare alla mente le ricerche condotte dal fisiologo Angelo Mosso a fine Ottocento sull’azione dell’aria di montagna sul corpo umano – rendono manifesto il costante processo di scambio con l’ambiente extra corporeo al quale ogni essere umano è sottoposto.

Michael Fliri

My Private Fog II, 2017
Fotografie

Courtesy l’artista e Galleria Raffaella Cortese, Milano
Foto: Rafael Kroetz

Neve e ghiacciai: forme, funzioni, vulnerabilità

Esperienze condotte in centro e nord Europa hanno dimostrato come l’immersione forestale invernale, in un ambiente con uno strato di neve e ghiaccio al suolo produca significativi benefici sulla salute mentale, inaspettatamente comparabili con esperienze condotte in primavera e in estate1. La visione della neve e del ghiaccio, con le relative strutture ripetitive – dalle grandi distese innevate fino al minuscolo cristallo di neve, vero e proprio prototipo di forma “frattale” – è quanto di più rilassante e meno impegnativo per la nostra attenzione. Anche gli ambienti naturali invernali innevati, quindi, forniscono servizi ecosistemici diretti per la salute umana, e questi non rappresentano che la punta dell’iceberg dei servizi resi dagli ambienti innevati e glaciali.
Le coperture nevose e i ghiacciai montani e artici forniscono infatti il fondamentale servizio ecosistemico del rilascio graduale dell’acqua piovana, prevenendo disastrose alluvioni e assicurando un approvvigionamento idrico relativamente costante durante tutto l’anno, per scopi di irrigazione, acqua potabile e generazione di energia idroelettrica. In alta montagna e alle alte latitudini, il ghiaccio che permane tutto l’anno nel sottosuolo – il permafrost – assicura la stabilità dei versanti e del suolo stesso, prevenendo dissesti e garantendo la stabilità delle costruzioni2.
Questi elementi naturali sono tuttavia soggetti a un pericolo incombente: proprio la neve, il ghiaccio e i ghiacciai sono tra gli elementi più sensibili ai cambiamenti climatici. L’innevamento è sempre più irregolare, sale sempre più in alto e il ciclo di scioglimento è sempre più rapido, compromettendo tra l’altro la sostenibilità delle stazioni sciistiche, e accelerando il ciclo dell’acqua3. Oltre agli impatti economici e sul territorio, la presenza e la persistenza di neve o ghiaccio rappresentano da sempre lo scorrere delle stagioni e, più a lungo termine, la trasformazione del paesaggio alto-montano. Il repentino ritiro e la sempre più accentuata scomparsa sia della neve che di interi apparati glaciali, con processi che ormai si misurano sull’orizzonte del decennio se non di pochi anni, è fonte di disagio e stress per i residenti e gli appassionati della montagna che, spesso, hanno frequentato quegli ambienti per tutta la loro vita.
I ghiacciai alpini, avendo perso il 70% del proprio volume in poco più di un secolo, lasciano il posto agli sfasciumi, alle frane, e ai rischi per gli alpinisti4; i ghiacciai della Groenlandia e dell’Antartide occidentale, attraverso collassi catastrofici, minacciano di allagare le coste di mezzo mondo5, 6. L’estensione del ghiaccio marino artico, forse il più evidente indicatore dei cambiamenti climatici, si è più che dimezzata in estate negli ultimi 40 anni, in una spirale che potrebbe portare, in tempi tuttora incerti, alla rimodellazione di tutto il paesaggio del grande Nord, con conseguenze fatali per fauna e popolazioni locali e, forse, destinato ad aprire un nuovo terribile scenario di conquista e di guerra7.


— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini

Institute of BioEconomy, CNR - Sesto Fiorentino (FI) CAI Central Scientific Committee

  1. A. Peterfalvi, M. Meggyes, L. Makszin, N. Farkas, E. Miko, A. Miseta, L. Szereday, “Forest bathing always makes sense: Blood pressure-lowering and immune system-balancing effects in late spring and winter in central europe”, International Journal of Environmental Research and Public Health, 18(4), 2021, 1–20. LINK→
  2. E. E. Webb, A. K. Liljedahl, J. A. Cordeiro, M. M. Loranty, C. Witharana, J. W. Lichstein, “Permafrost thaw drives surface water decline across lake-rich regions of the Arctic”, Nature Climate Change, 12(9), 2022, pp. 841–846. LINK→
  3. H. François, R. Samacoïts, D. N. Bird, J. Köberl, F. Prettenthaler, S. Morin, “Climate change exacerbates snow-water-energy challenges for European ski tourism”, Nature Climate Change, 13(9), 2023, pp. 935–942. LINK→
  4. M. Carrer, R. Dibona, A. L.Prendin, M.Brunetti, “Recent waning snowpack in the Alps is unprecedented in the last six centuries”. Nature Climate Change, 13(2), 2023, pp. 155–160. LINK→
  5. L. J. Larocca, M. Twining–Ward, Y. Axford, A. D. Schweinsberg, S. H. Larsen, A. Westergaard–Nielsen, G. Luetzenburg, J. P. Briner, K. K. Kjeldsen, A. A. Bjørk, “Greenland-wide accelerated retreat of peripheral glaciers in the twenty-first century”, Nature Climate Change, 13(12), 2023, pp. 1324–1328. LINK→
  6. K. A. Naughten, P. R. Holland, J. De Rydt, “Unavoidable future increase in West Antarctic ice-shelf melting over the twenty-first century”, Nature Climate Change, 13(11), 2023, pp. 1222–1228. LINK→
  7. D. Topál, Q. Ding, “Atmospheric circulation-constrained model sensitivity recalibrates Arctic climate projections”, Nature Climate Change, 13(7), 2023, pp. 710–718. LINK→

Alberto Di FabioBio

Nato nel 1966 ad Avezzano, in provincia dell’Aquila, da padre artista e madre insegnante di scienze naturali, Alberto Di Fabio è sempre stato profondamente legato alla sua terra d’origine. Le alture della Marsica abruzzese sono state il paesaggio nel quale ha vissuto per tutta l’infanzia, il primo soggetto dei suoi disegni e di certo la prima fonte di ispirazione di una produzione artistica che si è costantemente evoluta nel tempo. Da qui, la montagna, quella che l’artista definisce come una “dea, quasi una divinità”, sarà ritratta in maniera costante, prima attraverso tele e opere su carta, poi attraverso wall painting di carattere ambientale.
Fin dalle sue prime opere, Di Fabio si è ispirato al mondo delle scienze naturali come la biologia, la chimica e l'astronomia. La sua pittura esplora atomi, strutture cellulari, neuroni, catene di DNA, costellazioni e galassie, nel tentativo costante di decifrare le leggi dell’universo e di rappresentare i processi invisibili che regolano i rapporti tra mondo vivente e non vivente.
Nel grande wall painting dal titolo Materia invisibile sono racchiuse tutte le sensazioni provate dall’artista duranteuno dei suoi primi incontri con la Montagna: l’energia emanata dalla luce, l’odore della pioggia che cade, la seduzione del paesaggio circostante e quella del cielo, blu, azzurro, grigio e bianco sopra di lui. Attraverso una pittura gestuale e performativa, che nasce da una partecipazione di forte carattere fisico ed emotivo, e dall’uso di un personale microscopio ottico e mentale, Alberto Di Fabio ci accompagna nel suo viaggio attraverso il mistero della materia, tra le forme e le consistenze della struttura eterogenea, molecolare e subatomica della natura.

Alberto Di Fabio

Materia invisibile, 2024
Wall painting

Courtesy l’artista

Vedere la natura

La sensazione di benessere e di rilassamento che si prova davanti a paesaggi naturali rispetto a quelli antropici è nota e documentata.
La prima spiegazione è riconducibile al fatto che l’essere umano risponda agli stimoli presenti in un ambiente naturale in modo molto più semplice e immediato rispetto a quelli artificiali, ovvero con maggiore “fluidità percettiva” (facilità con cui uno stimolo viene elaborato nel cervello)1-2.
Riusciamo, ad esempio, a processare gli stimoli visivi legati ad ambienti naturali con meno sforzo rispetto a quelli artificiali, come dimostrato da diversi studi che analizzano l’attivazione delle diverse aree del cervello e i movimenti degli occhi a seconda degli stimoli ai quali siamo sottoposti2.
In qualche modo è come se fossimo “programmati” per processare facilmente gli stimoli presenti nell’ambiente naturale, che è stato il nostro habitat per gran parte della storia umana. Per questo, quindi, alcune caratteristiche degli ambienti naturali, dalle forme geometriche alla variabilità della luce solare, al panorama sonoro, ci richiedono un basso livello di attenzione e di carico cognitivo.
Diversi studi nel campo delle neuroscienze mostrano ad esempio come le persone preferiscano la visione di strutture ripetitive e ricorsive, dette “frattali”. Tali strutture sono tipiche e frequenti degli ambienti naturali, al contrario di quelli antropizzati3-4. La foresta, così come ogni singolo albero, rappresenta l’esempio per eccellenza di struttura geometrica frattale: è composta da strutture qualitativamente simili che si ripetono su differenti scale spaziali, sempre più piccole: i rami di un albero sono versioni in piccolo dell’albero stesso, e questo vale fino ai ramoscelli e alle ramificazioni più sottili.
La visualizzazione di scenari ripetitivi favorisce il rilassamento e riduce quindi l'attività del sistema simpatico, particolarmente “iperattivo” nei pazienti affetti da depressione e ansia, producendo per questi soggetti, ma anche per la generalità degli individui cosiddetti “sani”, veri e propri effetti terapeutici5.
Oltre che per la presenza di strutture ripetitive (alberi, foreste), la montagna può essere luogo di benessere anche per il solo fatto di situarsi generalmente lontana dalle infrastrutture antropiche: questo vale per il silenzio, punteggiato dai rilassanti suoni della foresta, così come per la qualità del cielo notturno. Il buio, infatti, si trasforma, in Italia ormai soltanto su poche isole remote e presso i rilievi più isolati, nell’occasione per riconciliarci con una componente essenziale del benessere naturale. Eppure, oltre il 70% della popolazione mondiale non ha mai visto la Via Lattea: vegetazione, fauna e gli umani stessi sono sottoposti a stress continuo e potenzialmente dannoso a causa della scarsa qualità del cielo notturno6.


— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini

Institute of BioEconomy, CNR - Sesto Fiorentino (FI) CAI Central Scientific Committee

  1. S. Kaplan, “The restorative benefits of nature: Toward an integrative framework”, Journal of Environmental Psychology, 15(3), 1995, 169–182.
  2. A. E. van den Berg, Y. Joye, S. L. Koole,“Why viewing nature is more fascinating and restorative than Koole, viewing buildings: A closer look at perceived complexity”, Urban Forestry and Urban Greening, 20, 2016, pp. 397–401. LINK→
  3. Y. Joye, A. van den Berg “Is love for green in our genes? A critical analysis of evolutionary assumptions in restorative environments research”, Urban For Urban. Greening, 10, 2011, pp. 261–268. LINK→
  4. C. M. Hagerhall, T. Laike, R. P. Taylor, M. Küller, R. Küller, T. P. Martin, “Investigations of human EEG response to viewing fractal patterns”, Perception, 37(10), 2008, pp. 1488–1494. LINK→
  5. Song, Chorong, et al., “Physiological Effects of Visual Stimulation with Forest Imagery”, International Journal of Environmental Research and Public Health, 15(2), 2018. LINK→
  6. E. Mazzoleni, M. Vinceti, S. Costanzini, C. Garuti, G. Adani, G. Vinceti, G. Zamboni, M. Tondelli, C. Galli, S. Salemme, S. Teggi, A. Chiari, T. Filippini, “Outdoor artificial light at night and risk of early-onset dementia: A case-control study in the Modena population, Northern Italy”. Heliyon, 9(7), 2023 , e17837. LINK→

Andrea NacciarritiBio

Disposte all’interno di una zolla di terra, le piante di Stipa tenuissima sono mosse dall’aria prodotta da una ventola. Andrea Nacciarriti ricostruisce una porzione di un campo spazzato da una folata di vento prodotta artificialmente. Così facendo, ricrea un meccanismo naturale e porta all’interno di un contesto chiuso ciò che abitualmente avviene all’aperto.
L’opera nasce dal desiderio dell’artista di visualizzare l’aria, un elemento solitamente invisibile, che diventa percepibile solo attraverso gli effetti che produce quando diventa vento e la pressione delle molecole incontra la materia.
Con questo lavoro Nacciarriti ci invita a considerare il ruolo e l’impatto che la parte non visibile della natura esercita su di noi. L’artista esorta il nostro sguardo ad andare oltre la soglia del visibile. Come spesso accade nella sua pratica, è attraverso la forza della sintesi che l’artista riesce a proporre rappresentazioni di grande potenza concettuale, simbolica ed estetica.

Andrea Nacciarriti

Landscape, 2024
Ventola, piante, terra. Installazione

Courtesy l’artista

L'aria come Eros e Thanatos

Che l’aria abbia una massa, e quindi possa esercitare una pressione, dopo le antiche intuizioni di Aristotele, è stato pienamente compreso solo 500 anni fa, da Galileo Galilei ed Evangelista Torricelli. Alimentati continuamente dal sole, il vento e la pressione giocano un’infinita partita a due, con i gradienti di pressione che creano il vento e il vento che livella le differenze di pressione.
A tutte le scale, il vento è guidato dal gradiente della pressione atmosferica, oltre che dalla Forza di Coriolis dovuta alla rotazione della Terra. I gradienti di pressione, a loro volta, si formano in risposta alle differenze di riscaldamento, generalmente legati alla differente insolazione, sia presso il suolo che lungo la colonna atmosferica. Dalla fine degli anni 2000, grazie alle ricerche dei fisici russi Anastassia Makarieva e Victor Gorshkov, è stato ipotizzato, trovando poi estese conferme, che le grandi foreste naturali, tropicali e boreali, generino gradienti di pressione su larga scala attraverso la traspirazione dell’umidità e la successiva condensazione e immensi rilasci di calore. In questo modo, le grandi foreste, ma solo quelle naturali e in equilibrio, riescono a “riciclare”, trasportandole, le umide masse d’aria oceaniche anche per migliaia di chilometri, portando la pioggia in zone che altrimenti sarebbero semi-desertiche1, 2. Questa è la cosiddetta “pompa biotica”, generatrice di pioggia e quindi di reti di vita.
L’aria come Eros e Thanatos. L’ossigeno dona la vita, permettendo la respirazione cellulare, e al contempo, ossida e distrugge le nostre cellule. Altri composti residenti in aria sono invece conseguenza diretta del nostro stile di vita: ricca di inquinanti o ricca di composti benefici, tra questi ultimi in particolare alcuni terpeni – componenti di olii essenziali – emessi dagli alberi e dal suolo delle foreste, per i quali esistono evidenze scientifiche consolidate.
Nella lunga storia umana di abitanti della foresta, il nostro organismo si è adattato a sfruttare al meglio le proprietà dell’atmosfera forestale: è così che alcuni terpeni rappresentano, ogni volta che ci immergiamo nella foresta, importanti veicoli di benessere mentale (ansiolitici, sedativi) e fisiologico (antiossidanti, anti-infiammatori, anti-proliferativi e attivatori delle difese immunitarie)3-5. A livello globale, oltre il 90% delle persone respira aria che non rispetta gli standard dell'Organizzazione Mondiale della Salute (OMS). Oltre ai danni all’apparato cardio-respiratorio, recenti evidenze scientifiche indicano un collegamento tra alcuni problemi neurologici e l’inquinamento dell’aria, sia relativamente a disturbi dello sviluppo neurologico nei bambini che per le malattie neurodegenerative negli adulti6.Uno studio condotto da un team di scienziati messicani, per esempio, ha trovato dei cambiamenti nella struttura del cervello, deficit cognitivi e patologie simili al morbo di Alzheimer in un gruppo di bambini di Città del Messico, la città più inquinata del mondo secondo le Nazioni Unite, rispetto ai bambini che vivono in una città meno inquinata7.
Un’altra ricerca su quasi tremila scolari di Barcellona ha rilevato uno sviluppo cognitivo più lento negli alunni che frequentano le scuole con maggiore inquinamento da traffico8.
Un crescente numero di studi supporta l’ipotesi che una maggiore esposizione agli inquinanti atmosferici sia associata al declino delle funzioni cognitive negli adulti o comunque rappresenti un importante fattore di rischio di declino cognitivo e demenza negli anziani9.


— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini

Institute of BioEconomy, CNR - Sesto Fiorentino (FI) CAI Central Scientific Committee

  1. A. M. Makarieva, A. V. Nefiodov, A. D. Nobre, M. Baudena, U. Bardi, D. Sheil, S. R. Saleska, R. D. Molina, A. Rammig, “The role of ecosystem transpiration in creating alternate moisture regimes by influencing atmospheric moisture convergence”, Global Change Biology, 29(9), 2023, pp. 2536–2556. LINK→
  2. E. Gies, “More than carbon sticks”, Nature Water, 1(10), 2023, pp. 820–823. LINK→
  3. M. Antonelli, D. Donelli, G. Barbieri, M. Valussi, V. Maggini, F. Firenzuoli, “Forest volatile organic compounds and their effects on human health: A state-of-the-art review”, International Journal of Environmental Research and Public Health, 17(18), 2020, pp. 1–36. LINK→
  4. D. Donelli, F. Meneguzzo, M. Antonelli, D. Ardissino, G. Niccoli, G. Gronchi, R. Baraldi, L. Neri, F. Zabini, “Effects of plant-emitted monoterpenes on anxiety symptoms: A propensity-matched observational cohort study”, International Journal of Environmental Research and Public Health, 20(4), 2023, 2773. LINK→
  5. D. Donelli, M. Antonelli, R. Baraldi, A. Corli, F. Finelli, F. Gardini, G. Margheritini, F. Meneguzzo, L. Neri, D. Lazzeroni, D. Ardissino, G. Piacentini, F. Zabini, A. Cogo, “Exposure to Forest Air Monoterpenes with Pulmonary Function Tests in Adolescents with Asthma: A Cohort Study”, Forests, 14(10), 2012. LINK→
  6. P.J. Landrigan, “Air Pollution and Health”. The Lancet Public Health, 2(1), 2017, pp. 4–5. LINK→
  7. L. Calderón-Garcidueñas, R. Torres-Jardón, R.J. Kulesza, Y. Mansour, L. González-González, A. Gónzalez-Maciel, R. Reynoso-Robles, P.S. Mukherjee, “Alzheimer disease starts in childhood in polluted Metropolitan Mexico City. A major health crisis in progress”, Environmental Research, 183, 2020, 109137. LINK→
  8. P. Dadvand, J. Pujol, D. Macià, G. Martínez-Vilavella, L. Blanco-Hinojo, M. Mortamais, M. Alvarez-Pedrerol, R. Fenoll, M. Esnaola, A. Dalmau-Bueno, M. López-Vicente, X. Basagaña, M. Jerrett, M. J. Nieuwenhuijsen, J. Sunyer, “The Association between Lifelong Greenspace Exposure and 3-Dimensional Brain Magnetic Resonance Imaging in Barcelona Schoolchildren”, Environmental Health Perspectives, 126(2), 2018, 027012. LINK→
  9. J. McLachlan, S.R. Cox, J. Pearce, M. Valdés Hernández, “Long-term exposure to air pollution and cognitive function in older adults: a systematic review and meta-analysis”, Frontiers in Environmental Health, 2, 2023. LINK→

Nona InescuBio

Mediante video, scultura, fotografia e installazione, Nona Inescu dà forma a una ricerca incentrata sulla ridefinizione delle relazioni tra corpo umano e non umano.
Adottando il postumanesimo come lente di osservazione privilegiata, l’artista forza le visioni fisiche e concettuali con l’obiettivo di attivare uno sguardo speculativo.
Deep Breathing è la riproduzione in metallo di una cassa toracica umana, nella cui struttura scheletrica sono osservabili una serie di coralli marini di colore biancastro in fase di formazione.
I concetti di corpo, tempo geologico e materia, riletti sulla base di una nuova consapevolezza biologica e di una nuova prospettiva culturale, producono un’estetica porosa, nella quale emerge in maniera chiara la contaminazione tra interno ed esterno, vivente e non vivente, human e other than human, io e altro.

Nona Inescu

Deep Breathing, 2019
Acciaio cromato, frammenti di corallo

Collezione Katja Zigerlig, New York
Courtesy l’artista e Catinca Tabacaru Gallery, Bucarest

Respirare il bosco

Il respiro, generalmente inconsapevole, è alla base del nostro scambio con l’ambiente esterno: quando ci immergiamo in un bosco, infatti, inaliamo anche sostanze volatili che vengono emesse nell’atmosfera forestale dalle piante e dal suolo.
Gli ecosistemi forestali rilasciano grandi quantità di queste sostanze, dette BVOC (Composti Organici Volatili Biogenici)1. Si tratta di molecole molto più o meno leggere, tutte costituite da carbonio e idrogeno, e alcune anche da ossigeno, appartenenti a varie classi chimiche (sono stati ad oggi identificati più di 1.700 composti per un totale di 90 famiglie di molecole), che hanno la caratteristica comune di essere volatili, in misura legata anche al relativo peso molecolare, quindi di disperdersi in aria.
Questi composti, risultati del metabolismo secondario delle piante, rappresentano un “linguaggio odoroso” che permette alle piante stesse, immobili, di comunicare con le altre piante, e soprattutto di allontanare i parassiti e, al contrario, attirare gli insetti impollinatori. L’emissione di BVOC cresce in condizioni di moderato stress della pianta, in particolare dovuto all’attacco di parassiti2.
Alcune di queste sostanze, in particolare i leggeri monoterpeni a basso peso molecolare, una volta inalate superano facilmente la barriera ematoencefalica e, grazie alla loro solubilità nel sangue, entrano in circolo e raggiungono tutti gli organi, dispiegando importanti funzioni “bioattive”: antiossidanti, antinfiammatorie, immunomodulanti, rilassanti (ansiolitiche, sedative e antidepressive), e benefiche per i processi cognitivi. I monoterpeni più conosciuti e funzionali sono a- e ß-pinene, ß-ocimene, d-limonene, sabinene, mircene e canfene. I benefici si manifestano sia localmente, sulle vie respiratorie3, che a livello sistemico, attraverso un’azione calmante ed ansiolitica4, in modo dipendente dalla dose inalata. È stata ipotizzata anche un’importante funzione di potenziamento del sistema immunitario5-8.
Le proprietà̀ di questi composti – che fanno della foresta una vera e propria dispensatrice di aromaterapia naturale – contribuiscono quindi in modo decisivo al benessere psico-fisico che possiamo trarre dall’esposizione all’ambiente naturale forestale.
La quantità e la tipologia di terpeni emessi dalle piante dipende in primis dal tipo di specie. Le conifere emettono i monoterpeni più efficaci, mentre altre latifoglie come il leccio e il faggio sono più produttive ma emettono terpeni relativamente meno funzionali per la salute.
Le condizioni meteo-climatiche (temperatura, radiazione) e la fase vegetativa delle piante influenzano fortemente l’emissione in atmosfera, rendendo la stagione e anche l’ora del giorno fattori fondamentali nella modulazione delle concentrazioni in aria dei preziosi terpeni9.


— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini

Institute of BioEconomy, CNR - Sesto Fiorentino (FI) CAI Central Scientific Committee

  1. F. Loreto, M. Dicke, J.P. Schnitzler, T.C. Turlings, “Plant Volatiles and the Environment”, Plant, Cell and Environment, 37 (8), 2014, pp. 1905– 08, LINK→.
  2. M. Valussi, M. Antonelli, “Forest Volatile Organic Compounds”. Scholarly Community Encyclopedia, 2020. LINK→
  3. D. Donelli, M. Antonelli, R. Baraldi, A. Corli, F. Finelli, F. Gardini, G. Margheritini, F. Meneguzzo, L. Neri, D. Lazzeroni, D. Ardissino, G. Piacentini, F. Zabini, A. Cogo, “Exposure to Forest Air Monoterpenes with Pulmonary Function Tests in Adolescents with Asthma: A Cohort Study”, Forests, 14(10), 2012. LINK→
  4. D. Donelli, F. Meneguzzo, M. Antonelli, D. Ardissino, G. Niccoli, G.Gronchi, R. Baraldi, L. Neri, F. Zabini, “Effects of Plant-Emitted Monoterpenes on Anxiety Symptoms: A Propensity-Matched Observational Cohort Study”, International Journal of Environmental Research and Public Health, 20(4), 2023, 2773. LINK→
  5. M. Zorić, S. Kostić, N. Kladar, B. Božin, V. Vasić, M. Kebert, S. Orlović, “Phytochemical Screening of Volatile Organic Compounds in Three Common Coniferous Tree Species in Terms of Forest Ecosystem Services”. Forests, 12(7), 2021, 928. LINK→.
  6. T. Kim, B. Song, K. S. Cho, I.-S. Lee, “Therapeutic Potential of Volatile Terpenes and Terpenoids from Forests for Inflammatory Diseases”, International Journal of Molecular Sciences, 21(6), 2020, 2187. LINK→
  7. Q. Li, A. Nakadai, H. Matsushima, Y. Miyazaki, A. Krensky, T. Kawada, K. Morimoto, “Phytoncides (wood essential oils) induce human natural killer cell activity”. Immunopharmacology and Immunotoxicology, 28(2), 2006, pp. 319–333. LINK→
  8. M. Antonelli, D. Donelli, G. Barbieri, M. Valussi, V. Maggini, F. Firenzuoli, “Forest volatile organic compounds and their effects on human health: A state-of-the-art review”, International Journal of Environmental Research and Public Health, 17(18), 2020, pp. 1–36. LINK→
  9. F. Meneguzzo, L. Albanese, G. Bartolini, F. Zabini, “Temporal and spatial variability of volatile organic compounds in the forest atmosphere”, International Journal of Environmental Research and Public Health, 16(24), 2019, 4915. LINK→

Pillole di salute per l'emergenza

Il video è stato ideato da Francesco Becheri, psicologo psicoterapeuta, fondatore e responsabile scientifico del progetto di sviluppo e ricerca sulla terapia forestale di Pian dei Termini. Nato dalla collaborazione con il Prof. Qing Li, immunologo, fondatore e presidente della Japanese Society of Forest Medicine e vicepresidente dell’International Society of Nature and Forest Medicine; con la Commissione Centrale Medica del Club Alpino italiano; il Consiglio Nazionale delle Ricerche e l’Università di Firenze, il video presenta le immagini di una serie di boschi e foreste, scrupolosamente selezionati, e dei suoni naturali in essi registrati.
Proposto a un campione di persone recluse nelle loro abitazioni durante il periodo del lockdown, questo video è stato l’oggetto della ricerca condotta dai soggetti citati, finalizzata a studiare gli effetti che la visione di tali scenari produceva sui livelli di ansia da confinamento. L’esperimento ha avuto una durata di cinque giorni ed è stato condotto da remoto. La ricerca, che ha visto la collaborazione del Cnr (Ibe e Ifc) e di Neurofarba - Dipartimento di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco e Salute del Bambino dell’Università di Firenze, ha dimostrato come il gruppo di soggetti al quale veniva fatto vedere il video delle foreste avesse una riduzione dell’attivazione ansiosa significativamente maggiore rispetto al gruppo di controllo esposto a un video di contesti urbani.

Pillole di salute per l'emergenza, 2020
Video, 12'

Crediti fotografici ed editing video: David Becheri

Da sensazione a scienza
Effetti del “bagno di foresta” sulla salute umana

Alcuni studiosi giapponesi hanno cercato nelle foreste un nuovo metodo per ridurre lo stress e, nel 1982, hanno formulato un concetto chiamato “Shinrin-Yoku” o “bagno di foresta”.
Shinrin in giapponese significa “foresta” e yoku significa “bagno”. Quindi shinrin-yoku significa immergersi nell’atmosfera della foresta o assorbire la foresta attraverso i nostri sensi. Non si tratta di fare esercizio fisico, né escursionismo o jogging, ma semplicemente di essere nella natura, di connettersi con essa attraverso il senso della vista, dell’udito, del gusto, dell’olfatto e del tatto. Lo Shinrin-Yoku è come un ponte. Aprendo i nostri sensi, colma il divario tra noi e il mondo naturale. In Giappone, a partire dal 2004, sono stati condotti studi sistematici volti a indagare gli effetti di questa pratica sulla salute umana. Abbiamo creato una nuova scienza medica chiamata Medicina Forestale.
La Medicina Forestale è una scienza interdisciplinare, appartenente alle categorie della medicina alternativa, della medicina ambientale e della medicina preventiva, che studia gli effetti degli ambienti forestali sulla salute umana. Nel 2007 abbiamo fondato la Japanese Society of Forest Medicine.
È stato scientificamente riscontrato1 che il Forest Bathing/Shinrin-Yoku (terapia forestale) produce i seguenti effetti benefici sulla salute umana:

1. Potenzia la funzione immunitaria incrementando l’attività dei natural killer (NK) umani, la quantità delle cellule NK e i livelli intracellulari delle proteine anticancro, suggerendo un effetto preventivo sui tumori.
2. Riduce gli ormoni dello stress, come l’adrenalina e la noradrenalina urinarie e il cortisolo salivare/sierico, contribuendo alla gestione dello stress.
3. Migliora il sonno.
4. Mostra un effetto preventivo sulla depressione, accrescendo i sentimenti positivi e la serotonina sierica e riducendo le emozioni negative.
5. Riduce la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca, mostrando un effetto preventivo sull’ipertensione.
6. Può essere applicato alla medicina riabilitativa.
7. Ha effetti benefici sulla salute umana anche se praticato nei parchi cittadini.
8. Ha un effetto preventivo sulle malattie legate allo stile di vita, riducendo lo stress.
9. Ha un effetto preventivo sul COVID-19, riducendo lo stress e rafforzando la funzione immunitaria2.
10. I fitoncidi3 svolgono un ruolo importante nello Shinrin-Yoku.


— Qing Li, MD, PhD

Professore alla Nippon Medical School
Vicepresidente e segretario generale della General of International Society of Nature and Forest Medicine (INFOM)
Presidente della Japanese Society of Forest Medicine

  1. V. Roviello, M. Gilhen-Baker, C . Vicidomini, G.N. Roviello, “Forest- bathing and physical activity as weapons against COVID-19: a review”, Environ Chem Lett, 131-140. doi: 10.1007/s10311-021-01321-9.
  2. V. Roviello, M. Gilhen-Baker, C. Vicidomini, G.N. Roviello, "Forestbathing and physical activity as weapons against COVID-19: a review", Environ Chem Lett, 131-140. doi: 10.1007/s10311-021-01321-9.
  3. Phytoncides are the natural oils within a plant and are part of a tree’s defence system. Trees release phytoncides to protect them from bacteria, insects and fungi. Phyton is Latin for ‘plant’, and cide is ‘to kill’. Phytoncides are also part of the communication pathway between trees: the way trees talk to each other. The concentration of phytoncides in the air depends on the temperature and other changes that take place throughout the year. The warmer it is, the more phytoncides there are in the air. The concentration of phytoncides is at its highest at temperatures of around 30 degrees Celsius.