Area 1
Le fotografie della serie My Private Fog II presentano un’azione performativa realizzata
da
Michael Fliri. L’artista indossa una serie di maschere trasparenti, realizzate dal calco di
pietre e minerali raccolti durante le sue camminate in alta montagna. I due corpi, inizialmente
entità distinte, si fondono gradualmente come abitanti dello stesso spazio atmosferico.
La
condensa generata dal respiro porta progressivamente il viso dell’artista a scomparire,
trasforma le superfici in immagini che ricordano profili montani innevati, ghiacciai o materia
rocciosa, sottolineando l’interazione biologica tra essere umano e natura.
Nel rendere
visibile
ciò che tendenzialmente il nostro occhio non vede, Michael Fliri apre uno spazio di riflessione
sui concetti di interazione e di metamorfosi.
Le immagini – nel richiamare alla mente le
ricerche
condotte dal fisiologo Angelo Mosso a fine Ottocento sull’azione dell’aria di montagna sul corpo
umano – rendono manifesto il costante processo di scambio con l’ambiente extra corporeo al quale
ogni essere umano è sottoposto.
Michael Fliri
My Private Fog II, 2017
Fotografie
Courtesy l’artista e Galleria Raffaella Cortese, Milano
Foto: Rafael Kroetz
Neve e ghiacciai: forme, funzioni, vulnerabilità
Esperienze condotte in centro e nord Europa hanno dimostrato come l’immersione forestale
invernale, in un ambiente con uno strato di neve e ghiaccio al suolo produca
significativi benefici sulla salute mentale, inaspettatamente comparabili con esperienze
condotte in primavera e in estate1. La visione della neve e
del ghiaccio, con le
relative strutture ripetitive – dalle grandi distese innevate fino al minuscolo
cristallo di neve, vero e proprio prototipo di forma “frattale” – è quanto di più
rilassante e meno impegnativo per la nostra attenzione. Anche gli ambienti naturali
invernali innevati, quindi, forniscono servizi ecosistemici diretti per la salute umana,
e questi non rappresentano che la punta dell’iceberg dei servizi resi dagli ambienti
innevati e glaciali.
Le coperture nevose e i ghiacciai montani e artici forniscono infatti il fondamentale
servizio ecosistemico del rilascio graduale dell’acqua piovana, prevenendo disastrose
alluvioni e assicurando un approvvigionamento idrico relativamente costante durante
tutto l’anno, per scopi di irrigazione, acqua potabile e generazione di energia
idroelettrica. In alta montagna e alle alte latitudini, il ghiaccio che permane tutto
l’anno nel sottosuolo – il permafrost – assicura la stabilità dei versanti e del suolo
stesso, prevenendo dissesti e garantendo la stabilità delle costruzioni2.
Questi elementi naturali sono tuttavia soggetti a un pericolo incombente: proprio la
neve, il ghiaccio e i ghiacciai sono tra gli elementi più sensibili ai cambiamenti
climatici. L’innevamento è sempre più irregolare, sale sempre più in alto e il ciclo di
scioglimento è sempre più rapido, compromettendo tra l’altro la sostenibilità delle
stazioni sciistiche, e accelerando il ciclo dell’acqua3.
Oltre agli impatti economici
e sul territorio, la presenza e la persistenza di neve o ghiaccio rappresentano da
sempre lo scorrere delle stagioni e, più a lungo termine, la trasformazione del
paesaggio alto-montano. Il repentino ritiro e la sempre più accentuata scomparsa sia
della neve che di interi apparati glaciali, con processi che ormai si misurano
sull’orizzonte del decennio se non di pochi anni, è fonte di disagio e stress per i
residenti e gli appassionati della montagna che, spesso, hanno frequentato quegli
ambienti per tutta la loro vita.
I ghiacciai alpini, avendo perso il 70% del proprio volume in poco più di un secolo,
lasciano il posto agli sfasciumi, alle frane, e ai rischi per gli alpinisti4; i
ghiacciai della Groenlandia e dell’Antartide occidentale, attraverso collassi
catastrofici, minacciano di allagare le coste di mezzo mondo5,
6. L’estensione del
ghiaccio marino artico, forse il più evidente indicatore dei cambiamenti climatici, si è
più che dimezzata in estate negli ultimi 40 anni, in una spirale che potrebbe portare,
in tempi tuttora incerti, alla rimodellazione di tutto il paesaggio del grande Nord, con
conseguenze fatali per fauna e popolazioni locali e, forse, destinato ad aprire un nuovo
terribile scenario di conquista e di guerra7.
— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini
Institute of BioEconomy, CNR - Sesto Fiorentino (FI) CAI Central Scientific Committee
Nato nel 1966 ad Avezzano, in provincia dell’Aquila, da padre artista e madre insegnante di
scienze naturali, Alberto Di Fabio è sempre stato profondamente legato alla sua terra d’origine.
Le alture della Marsica abruzzese sono state il paesaggio nel quale ha vissuto per tutta
l’infanzia, il primo soggetto dei suoi disegni e di certo la prima fonte di ispirazione di una
produzione artistica che si è costantemente evoluta nel tempo. Da qui, la montagna, quella che
l’artista definisce come una “dea, quasi una divinità”, sarà ritratta in maniera costante, prima
attraverso tele e opere su carta, poi attraverso wall painting di carattere ambientale.
Fin
dalle
sue prime opere, Di Fabio si è ispirato al mondo delle scienze naturali come la biologia, la
chimica e l'astronomia. La sua pittura esplora atomi, strutture cellulari, neuroni, catene di
DNA, costellazioni e galassie, nel tentativo costante di decifrare le leggi dell’universo e di
rappresentare i processi invisibili che regolano i rapporti tra mondo vivente e non vivente.
Nel
grande wall painting dal titolo Materia invisibile sono racchiuse tutte le sensazioni
provate
dall’artista duranteuno dei suoi primi incontri con la Montagna: l’energia emanata dalla luce,
l’odore della pioggia che cade, la seduzione del paesaggio circostante e quella del cielo, blu,
azzurro, grigio e bianco sopra di lui. Attraverso una pittura gestuale e performativa, che
nasce
da una partecipazione di forte carattere fisico ed emotivo, e dall’uso di un personale
microscopio ottico e mentale, Alberto Di Fabio ci accompagna nel suo viaggio attraverso il
mistero della materia, tra le forme e le consistenze della struttura eterogenea, molecolare e
subatomica della natura.
Vedere la natura
La sensazione di benessere e di rilassamento che si prova davanti a paesaggi naturali
rispetto a quelli antropici è nota e documentata.
La prima spiegazione è riconducibile al fatto che l’essere umano risponda agli stimoli
presenti in un ambiente naturale in modo molto più semplice e immediato rispetto a
quelli artificiali, ovvero con maggiore “fluidità percettiva” (facilità con cui uno
stimolo viene elaborato nel cervello)1-2.
Riusciamo, ad esempio, a processare gli stimoli visivi legati ad ambienti naturali con
meno sforzo rispetto a quelli artificiali, come dimostrato da diversi studi che
analizzano l’attivazione delle diverse aree del cervello e i movimenti degli occhi a
seconda degli stimoli ai quali siamo sottoposti2.
In qualche modo è come se fossimo “programmati” per processare facilmente gli stimoli
presenti nell’ambiente naturale, che è stato il nostro habitat per gran parte della
storia umana. Per questo, quindi, alcune caratteristiche degli ambienti naturali, dalle
forme geometriche alla variabilità della luce solare, al panorama sonoro, ci richiedono
un basso livello di attenzione e di carico cognitivo.
Diversi studi nel campo delle neuroscienze mostrano ad esempio come le persone
preferiscano la visione di strutture ripetitive e ricorsive, dette “frattali”. Tali
strutture sono tipiche e frequenti degli ambienti naturali, al contrario di quelli
antropizzati3-4. La foresta, così come ogni singolo albero,
rappresenta l’esempio per
eccellenza di struttura geometrica frattale: è composta da strutture qualitativamente
simili che si ripetono su differenti scale spaziali, sempre più piccole: i rami di un
albero sono versioni in piccolo dell’albero stesso, e questo vale fino ai ramoscelli e
alle ramificazioni più sottili.
La visualizzazione di scenari ripetitivi favorisce il rilassamento e riduce quindi
l'attività del sistema simpatico, particolarmente “iperattivo” nei pazienti affetti da
depressione e ansia, producendo per questi soggetti, ma anche per la generalità degli
individui cosiddetti “sani”, veri e propri effetti terapeutici5.
Oltre che per la presenza di strutture ripetitive (alberi, foreste), la montagna può
essere luogo di benessere anche per il solo fatto di situarsi generalmente lontana dalle
infrastrutture antropiche: questo vale per il silenzio, punteggiato dai rilassanti suoni
della foresta, così come per la qualità del cielo notturno. Il buio, infatti, si
trasforma, in Italia ormai soltanto su poche isole remote e presso i rilievi più
isolati, nell’occasione per riconciliarci con una componente essenziale del benessere
naturale. Eppure, oltre il 70% della popolazione mondiale non ha mai visto la Via
Lattea: vegetazione, fauna e gli umani stessi sono sottoposti a stress continuo e
potenzialmente dannoso a causa della scarsa qualità del cielo notturno6.
— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini
Institute of BioEconomy, CNR - Sesto Fiorentino (FI) CAI Central Scientific Committee
Disposte all’interno di una zolla di terra, le piante di Stipa tenuissima sono mosse
dall’aria
prodotta da una ventola. Andrea Nacciarriti ricostruisce una porzione di un campo spazzato
da una folata di vento prodotta artificialmente. Così facendo, ricrea un meccanismo naturale e
porta all’interno di un contesto chiuso ciò che abitualmente avviene all’aperto.
L’opera
nasce
dal desiderio dell’artista di visualizzare l’aria, un elemento solitamente invisibile, che
diventa percepibile solo attraverso gli effetti che produce quando diventa vento e la pressione
delle molecole incontra la materia.
Con questo lavoro Nacciarriti ci invita a considerare il
ruolo e l’impatto che la parte non visibile della natura esercita su di noi. L’artista esorta il
nostro sguardo ad andare oltre la soglia del visibile. Come spesso accade nella sua pratica, è
attraverso la forza della sintesi che l’artista riesce a proporre rappresentazioni di grande
potenza concettuale, simbolica ed estetica.
L'aria come Eros e Thanatos
Che l’aria abbia una massa, e quindi possa esercitare una pressione, dopo le antiche
intuizioni di Aristotele, è stato pienamente compreso solo 500 anni fa, da Galileo
Galilei ed Evangelista Torricelli. Alimentati continuamente dal sole, il vento e la
pressione giocano un’infinita partita a due, con i gradienti di pressione che creano il
vento e il vento che livella le differenze di pressione.
A tutte le scale, il vento è guidato dal gradiente della pressione atmosferica, oltre
che dalla Forza di Coriolis dovuta alla rotazione della Terra. I gradienti di pressione,
a loro volta, si formano in risposta alle differenze di riscaldamento, generalmente
legati alla differente insolazione, sia presso il suolo che lungo la colonna
atmosferica. Dalla fine degli anni 2000, grazie alle ricerche dei fisici russi
Anastassia Makarieva e Victor Gorshkov, è stato ipotizzato, trovando poi estese
conferme, che le grandi foreste naturali, tropicali e boreali, generino gradienti di
pressione su larga scala attraverso la traspirazione dell’umidità e la successiva
condensazione e immensi rilasci di calore. In questo modo, le grandi foreste, ma solo
quelle naturali e in equilibrio, riescono a “riciclare”, trasportandole, le umide masse
d’aria oceaniche anche per migliaia di chilometri, portando la pioggia in zone che
altrimenti sarebbero semi-desertiche1, 2. Questa è la
cosiddetta “pompa biotica”,
generatrice di pioggia e quindi di reti di vita.
L’aria come Eros e Thanatos. L’ossigeno dona la vita, permettendo la respirazione
cellulare, e al contempo, ossida e distrugge le nostre cellule. Altri composti residenti
in aria sono invece conseguenza diretta del nostro stile di vita: ricca di inquinanti o
ricca di composti benefici, tra questi ultimi in particolare alcuni terpeni – componenti
di olii essenziali – emessi dagli alberi e dal suolo delle foreste, per i quali esistono
evidenze scientifiche consolidate.
Nella lunga storia umana di abitanti della foresta, il nostro organismo si è adattato a
sfruttare al meglio le proprietà dell’atmosfera forestale: è così che alcuni terpeni
rappresentano, ogni volta che ci immergiamo nella foresta, importanti veicoli di
benessere mentale (ansiolitici, sedativi) e fisiologico (antiossidanti,
anti-infiammatori, anti-proliferativi e attivatori delle difese immunitarie)3-5.
A livello globale, oltre il 90% delle persone respira aria che non rispetta gli standard
dell'Organizzazione Mondiale della Salute (OMS). Oltre ai danni all’apparato
cardio-respiratorio, recenti evidenze scientifiche indicano un collegamento tra alcuni
problemi neurologici e l’inquinamento dell’aria, sia relativamente a disturbi dello
sviluppo neurologico nei bambini che per le malattie neurodegenerative negli adulti6.Uno studio condotto da un team di scienziati messicani,
per esempio, ha trovato dei
cambiamenti nella struttura del cervello, deficit cognitivi e patologie simili al morbo
di Alzheimer in un gruppo di bambini di Città del Messico, la città più inquinata del
mondo secondo le Nazioni Unite, rispetto ai bambini che vivono in una città meno
inquinata7.
Un’altra ricerca su quasi tremila scolari di Barcellona ha rilevato uno sviluppo
cognitivo più lento negli alunni che frequentano le scuole con maggiore inquinamento da
traffico8.
Un crescente numero di studi supporta l’ipotesi che una maggiore esposizione agli
inquinanti atmosferici sia associata al declino delle funzioni cognitive negli adulti o
comunque rappresenti un importante fattore di rischio di declino cognitivo e demenza
negli anziani9.
— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini
Institute of BioEconomy, CNR - Sesto Fiorentino (FI) CAI Central Scientific Committee
Mediante video, scultura, fotografia e installazione, Nona Inescu dà forma a una ricerca
incentrata sulla ridefinizione delle relazioni tra corpo umano e non umano.
Adottando il
postumanesimo come lente di osservazione privilegiata, l’artista forza le visioni fisiche e
concettuali con l’obiettivo di attivare uno sguardo speculativo.
Deep Breathing è
la
riproduzione in metallo di una cassa toracica umana, nella cui struttura scheletrica sono
osservabili una serie di coralli marini di colore biancastro in fase di formazione.
I concetti di corpo, tempo geologico e materia, riletti sulla base di una nuova consapevolezza
biologica e di una nuova prospettiva culturale, producono un’estetica porosa, nella quale emerge
in maniera chiara la contaminazione tra interno ed esterno, vivente e non vivente, human e
other than human, io e altro.
Nona Inescu
Deep Breathing, 2019
Acciaio cromato, frammenti di corallo
Collezione Katja Zigerlig, New York
Courtesy l’artista e Catinca Tabacaru Gallery, Bucarest
Respirare il bosco
Il respiro, generalmente inconsapevole, è alla base del nostro scambio con l’ambiente
esterno: quando ci immergiamo in un bosco, infatti, inaliamo anche sostanze volatili che
vengono emesse nell’atmosfera forestale dalle piante e dal suolo.
Gli ecosistemi forestali rilasciano grandi quantità di queste sostanze, dette BVOC
(Composti Organici Volatili Biogenici)1. Si tratta di molecole molto più o meno leggere,
tutte costituite da carbonio e idrogeno, e alcune anche da ossigeno, appartenenti a
varie classi chimiche (sono stati ad oggi identificati più di 1.700 composti per un
totale di 90 famiglie di molecole), che hanno la caratteristica comune di essere
volatili, in misura legata anche al relativo peso molecolare, quindi di disperdersi in
aria.
Questi composti, risultati del metabolismo secondario delle piante, rappresentano un
“linguaggio odoroso” che permette alle piante stesse, immobili, di comunicare con le
altre piante, e soprattutto di allontanare i parassiti e, al contrario, attirare gli
insetti impollinatori. L’emissione di BVOC cresce in condizioni di moderato stress della
pianta, in particolare dovuto all’attacco di parassiti2.
Alcune di queste sostanze, in particolare i leggeri monoterpeni a basso peso molecolare,
una volta inalate superano facilmente la barriera ematoencefalica e, grazie alla loro
solubilità nel sangue, entrano in circolo e raggiungono tutti gli organi, dispiegando
importanti funzioni “bioattive”: antiossidanti, antinfiammatorie, immunomodulanti,
rilassanti (ansiolitiche, sedative e antidepressive), e benefiche per i processi
cognitivi. I monoterpeni più conosciuti e funzionali sono a- e ß-pinene, ß-ocimene,
d-limonene, sabinene, mircene e canfene. I benefici si manifestano sia localmente, sulle
vie respiratorie3, che a livello sistemico, attraverso un’azione calmante ed
ansiolitica4, in modo dipendente dalla dose inalata. È stata ipotizzata anche
un’importante funzione di potenziamento del sistema immunitario5-8.
Le proprietà̀ di questi composti – che fanno della foresta una vera e propria
dispensatrice di aromaterapia naturale – contribuiscono quindi in modo decisivo al
benessere psico-fisico che possiamo trarre dall’esposizione all’ambiente naturale
forestale.
La quantità e la tipologia di terpeni emessi dalle piante dipende in primis dal tipo di
specie. Le conifere emettono i monoterpeni più efficaci, mentre altre latifoglie come il
leccio e il faggio sono più produttive ma emettono terpeni relativamente meno funzionali
per la salute.
Le condizioni meteo-climatiche (temperatura, radiazione) e la fase vegetativa delle
piante influenzano fortemente l’emissione in atmosfera, rendendo la stagione e anche
l’ora del giorno fattori fondamentali nella modulazione delle concentrazioni in aria dei
preziosi terpeni9.
— Francesco Meneguzzo, Federica Zabini
Institute of BioEconomy, CNR - Sesto Fiorentino (FI) CAI Central Scientific Committee
Il video è stato ideato da Francesco Becheri, psicologo psicoterapeuta, fondatore e responsabile scientifico del progetto di sviluppo e ricerca sulla terapia forestale di Pian dei Termini. Nato dalla collaborazione con
il Prof. Qing Li, immunologo, fondatore e presidente della Japanese Society of Forest Medicine e
vicepresidente dell’International Society of Nature and Forest Medicine; con la Commissione
Centrale Medica del Club Alpino italiano; il Consiglio Nazionale delle Ricerche e l’Università
di Firenze, il video presenta le immagini di una serie di boschi e foreste, scrupolosamente
selezionati, e dei suoni naturali in essi registrati.
Proposto a un campione di persone
recluse
nelle loro abitazioni durante il periodo del lockdown, questo video è stato l’oggetto della
ricerca condotta dai soggetti citati, finalizzata a studiare gli effetti che la visione di tali
scenari produceva sui livelli di ansia da confinamento. L’esperimento ha avuto una durata di
cinque giorni ed è stato condotto da remoto. La ricerca, che ha visto la collaborazione del Cnr
(Ibe e Ifc) e di Neurofarba - Dipartimento di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco e
Salute del Bambino dell’Università di Firenze, ha dimostrato come il gruppo di soggetti al quale
veniva fatto vedere il video delle foreste avesse una riduzione dell’attivazione ansiosa
significativamente maggiore rispetto al gruppo di controllo esposto a un video di contesti
urbani.
Pillole di salute per l'emergenza, 2020
Video, 12'
Crediti fotografici ed editing video: David Becheri
Da sensazione a scienza
Effetti del “bagno di foresta” sulla salute umana
Alcuni studiosi giapponesi hanno cercato nelle foreste un nuovo metodo per ridurre lo
stress e, nel
1982, hanno formulato un concetto chiamato “Shinrin-Yoku” o “bagno di foresta”.
Shinrin in giapponese significa “foresta” e yoku significa “bagno”.
Quindi shinrin-yoku significa
immergersi nell’atmosfera della foresta o assorbire la foresta attraverso i nostri
sensi. Non si tratta
di fare esercizio fisico, né escursionismo o jogging, ma semplicemente di essere nella
natura, di
connettersi con essa attraverso il senso della vista, dell’udito, del gusto,
dell’olfatto e del tatto.
Lo Shinrin-Yoku è come un ponte. Aprendo i nostri sensi, colma il divario tra noi e il
mondo naturale.
In Giappone, a partire dal 2004, sono stati condotti studi sistematici volti a indagare
gli effetti di questa
pratica sulla salute umana. Abbiamo creato una nuova scienza medica chiamata Medicina
Forestale.
La Medicina Forestale è una scienza interdisciplinare, appartenente alle categorie della
medicina
alternativa, della medicina ambientale e della medicina preventiva, che studia gli
effetti degli ambienti
forestali sulla salute umana. Nel 2007 abbiamo fondato la Japanese Society of Forest
Medicine.
È stato scientificamente riscontrato1 che il Forest
Bathing/Shinrin-Yoku (terapia forestale) produce i
seguenti effetti benefici sulla salute umana:
1. Potenzia la funzione immunitaria incrementando l’attività dei natural killer (NK)
umani, la quantità delle cellule NK e i livelli intracellulari delle proteine
anticancro, suggerendo un
effetto preventivo sui tumori.
2. Riduce gli ormoni dello stress, come l’adrenalina e la noradrenalina urinarie e il
cortisolo salivare/sierico, contribuendo alla gestione dello stress.
3. Migliora il sonno.
4. Mostra un effetto preventivo sulla depressione, accrescendo i sentimenti positivi
e la serotonina sierica e riducendo le emozioni negative.
5. Riduce la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca, mostrando un effetto
preventivo sull’ipertensione.
6. Può essere applicato alla medicina riabilitativa.
7. Ha effetti benefici sulla salute umana anche se praticato nei parchi cittadini.
8. Ha un effetto preventivo sulle malattie legate allo stile di vita, riducendo lo
stress.
9. Ha un effetto preventivo sul COVID-19, riducendo lo stress e rafforzando la funzione
immunitaria2.
10. I fitoncidi3 svolgono un ruolo importante nello
Shinrin-Yoku.
— Qing Li, MD, PhD
Professore alla Nippon Medical School
Vicepresidente e segretario generale della General of International Society of Nature
and Forest Medicine (INFOM)
Presidente della Japanese Society of Forest Medicine